Il dialogo non è utopia.

tariq-ramadanUn’identità islamica ed europea non è un’utopia: ma dovremmo cambiare registro, linguaggio, iniziare ad usare il “noi” quando si parla di europei, laici o cristiani, e islamici che vivono nel vecchio continente. Ne parlerà Tariq Ramadan, noto filosofo e islamologo svizzero, che è stato a Trento venerdì  2 dicembre presso l’Auditorium Santa Chiara per l’evento finale di “Utopia 500” promosso dalla casa editrice “Il Margine”. “Occidente e islam: il dialogo non è un’utopia” era il perno attorno al quale si è articolato  l’intervento di Ramadan, introdotto da Massimo Campanini. Il professore egiziano insegna studi islamici contemporanei dell’Università di Oxford, docente anche in Giappone, Qatar, Malesia e Marocco; è considerato un innovatore nel pensiero islamico contemporaneo ed è impegnato nel dialogo interreligioso. Presidente di Emn (European Muslim Network) di Bruxelles ha scritto diversi saggi tra cui: “La riforma radicale. Islam, etica e liberazione”; “Jihad. Violenza, guerra e pace nell’islam, Il pericolo delle idee” (con Edgar Morin). Il più recente è “Le génie de l’islam”.
Due sono i capisaldi del suo pensiero: il contesto e la riforma, due concetti strettamente legati tra loro. Il primo indica la necessità di passare dall’idea di integrazione a quella di partecipazione: un islamico non può essere più considerato un “corpo estraneo”, ma una parte attiva di una cultura nuova, nascente. Un contesto dove l’islam e chi lo segue partecipa alla creazione di nuove prospettive. E’ in questo ambito che Ramadan affronta il tema della riforma. Ma non si tratta di semplici cambiamenti perché “lo straniero si adatti al mondo occidentale”: è il mondo, globalizzato, che ha bisogno di essere riformato. In senso etico, verso una giustizia più concreta, fatta di scelte dei governi che non guardano aspetti formali, come il velo sul capo delle donne, ma sostanziali, come il salario equo per tutte, donne europee o di origini orientali.
A Ramadan abbiamo chiesto come sia possibile realizzare questa “utopia”. “Non la considero più un’utopia – ha risposto il professore da Oxford – è una realtà. Nella vita quotidiana di tanta gente occidentale che vive fianco a fianco con immigrati di seconda o anche terza generazione. Non dobbiamo parlare più di integrazione, come se si trattasse di dover adattare una mentalità, quella islamica, all’altra, quella occidentale. Ma il vero cambiamento avviene lì dove c’è partecipazione. Di tutti, di entrambe le culture, verso la costruzione di una nuova identità condivisa. L’idea che dobbiamo perseguire è quella di lavorare assieme, con uno scopo comune. Questo può avvenire solo tramite l’educazione, paziente, a partire dai giovani, nelle scuole come nei media. Sono i primi a doversi convertire verso una dimensione del “noi” tra islam e occidente”.

Uno degli elementi comuni della cultura occidentale è il capitalismo, con tutte le conseguenze del caso: l’ingiustizia e la diseguaglianza eretta a sistema. L’islam può aiutare l’occidente a cambiare strada su questo versante?
“Credo che in Europa e in genere nel mondo occidentale le alternative al capitalismo ci siano già. Verso forme di economia più giuste. Certamente nella dimensione del noi tra cultura islamica e occidentale, possono venire fuori nuove forme di giustizia sociale ed economica. E’ la logica che deve cambiare: che si abbia un retroterra culturale e religioso islamico o cristiano l’idea di giustizia è la medesima. E’ uguale il desiderio di un mondo dove non ci sia la povertà e tutti vivano nella dignità. Ma questo è possibile se non iniziamo a collaborare? Avverrà se prevale la logica delle individualità e tradizioni da difendere? Non è mai stato così nella storia. Quindi in conclusione non è l’islam che può aiutarci a trovare maggiore giustizia sociale: siamo noi tutti che dobbiamo aprirci ad una riforma radicale del nostro modo di vivere assieme”.

Qual’è il valore in comune tra islam e cristianesimo che predilige? “La dignità dell’uomo, dell’essere umano. E’ su questo fondamentale valore che dobbiamo far crescere i nostri bambini. Secondariamente dobbiamo occuparci dei comportamenti, del bene e del male. Solo infatti se per prima cosa riconosciamo la dignità di ognuno, donna, uomo, omosessuale che sia, allora possiamo parlare di bene e di male, di giustizia sociale. Dobbiamo farlo tutti noi assieme”.

Dai media in generale però ci arriva il volto violento dell’islam, il terrorismo, l’ISIS. “I media non devono di certo tacere la verità e non far vedere cosa accade quando c’è il fondamentalismo, da qualsiasi parte arrivi. Però il loro ruolo dovrebbe anche essere quello di educare, informare le persone, perché siano veramente in grado di capire e scegliere. E l’islam non è l’ISIS”.
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Donna e islam è un binomio che crea ancora diversi problemi: come fare a superare questo scoglio, per rendere partecipi le donne islamiche della vita pubblica occidentale a pieno titolo? “Se si ragiona in termini di fondamentalismo non è possibile. Ma anche se certi governi si fissano sulla questione del velo, dell’abbigliamento esteriore e non guardano alla sostanza della vera uguaglianza delle donne agli uomini nulla cambierà. Mi risulta che in Italia le donne ancora oggi percepiscano dei salari inferiori a quelli degli uomini a parità di livello e di lavoro. Proviamo innanzitutto a pareggiare i salari delle donne, orientali o europee che siano”.

Cosa cambia nel mondo con l’elezione di Trump? “Non credo molto. Obama mi ha deluso. Non è stato un grande presidente così come avrebbero voluto tutti quelli che hanno sperato in lui. Ha detto tanto e fatto poco. Per cui non penso che cambierà granché e non credo che Trump possa nuocere più di tanto. Sono più ottimista di molti altri in questo senso. I veri cambiamenti non arrivano dall’alto, dai presidenti, ma dalle persone umili e dalle piccole scelte quotidiane”.

Pubblicato su L’Adige del 30 novembre 2016

Il Corano è misericordia.

L’ignoranza è la peggior nemica dell’umanità. Spegne il dialogo, accende la paura, si nutre del terrore e mastica slogan. Misericordia è intelligenza: guardare dentro le cose, approfondire, conosparola-settimana-misericordia-colincere. Chi parla del Corano senza averlo mai aperto, chi giudica il tutto avendo a che fare solo con una parte, chi pensa che tutte le donne nell’islam siano ignoranti e sottomesse di fronte a Sharzad Housmand Zadeh, teologa islamica di origine iraniana, docente di Studi Islamici pressol’Univeristà Gregoriana di Roma, dovrà ricredersi. Ha studiato teologia nel suo paese e poi in Italia ha continuato con la Teologia fondamentale presso la Pontificia università dell’ItaliaMeridionale.

Le abbiamo domandato, visto il momento storico particolarmente difficile, per parlare di islam e dialogo, tra Isis, terrorismo e paure sei ha qualche suggerimento per riprendere speranza.amore-parola-settimana-colin-260x195

“Il popolo mussulmano oggi conta un miliardo e settecento milioni di persone. L’Isis non è nemmeno l’1% di questo vasto popolo. Dobbiamo ricordarci che Isis uccide sopratutto i mussulmani: più del 90% dei massacri avviene a discapito di persone dalla fede islamica. Chi si mette contro progetto ideologico e politico di Isisi è considerato un nemico da annientare. Per quanto riguarda il momento storico dobbiamo ricordare che più di 1400 anni di storia dell’islam, più di 2000 di storia del cristianesimo, hanno sempre portato con loro elementi di scontro, di tensione accanto ad altri d’incontro e dialogo. L’intelligenza e la capacità di gestire le situazioni sono l’unico strumento per favorire, promuovere, la vita, l’incontro, la speranza. Anche dall’attuale crisi del terrorismo, detto islamico, ma che non può assolutamente esserlo, perché “chi uccideuna sola persona è come se uccidesse l’intera umanità”, recita il Corano, possiamo produrre un bene. Approfittando della crisi, del cosiddetto “scontro culturale”, l’intelligenza e la spiritualità dell’uomo di oggi può trarre una nuova vita e una diversa via per promuovere l’umanità”.

Lei a Trento è stata chiamata per parlare del tema del Giubileo cattolico indetto da Papa Francesco: la misericordia. Misericordioso è uno dei 99 nomi di Dio: cosa significa per voi?

“Il Corano ha 114 capitoli: in 113 capitoli si inizia con la formula “Nel nome di Dio, pienezza di amore e misericordia”. Questa formula trina, che non equivale alla trinità cristiana, usa tre nomi, per parlarci del Dio coranico. Uno è Allah, il nome proprio di Dio, gli altri due sono Amore e Misericordia. Questi sono i sommi nomi di Dio, del Corano e dell’Islam”.

Ma che valore date a questo nome, cosa significa per gli uomini? “Misericordia è avere affetto perla propria famiglia, per la nazione in cui si vive, per l’umanità tutta, nelle relazioni interpersonali. La misericordia si traduce anche negli atti indicati dalla sharia islamica: per esempio la stessa zakat, ovvero il dovere del sostegno economico del povero, è atto di misericordia. Oppure il perdono: “chi ama essere perdonato da Dio, perdoni a sua volta il suo prossimo” dice il Corano. “Quando ricevi un male non rispondere con un male più grande ma con un bene più grande”, stascritto sempre nel nostro libro “vedrai che così chi ti era nemico ti diventerà caloroso amico”. Misericordia dunque è operare per il bene, anche economico, per la giustizia a favore del popolo umano”.

Eppure chi non ha mai aperto il Corano pensa ci siano scritte solo violenze e incitazioni alla guerra santa: consiglia di leggerlo direttamente questo testo tanto menzionato e poco conosciuto?

“Questa è una parola per gli uomini”: si presenta così il Corano. C’è un invito ad ogni persona umana, già nel nome stesso di “Corano”. E’ un invito ad essere letto e meditato. Scopriremmo dunque non solo misericordia, amore e perdono, ma anche personaggi e storie deivangeli”.

Chi è Gesù nel Corano?

“Un personaggio d’eccezione. Non solo un profeta: è il Santo, il piùprossimo a Dio, addirittura si dice di lui che è il verbo di Dio e il suo spirito. Nasce dalla Vergine Maria: il Corano conferma questa idea dei Vangeli del parto miracoloso. Sono state scritte migliaia di pagine della spiritualità islamica sulla centralità della figura di Gesù. Anche le confraternite mistiche dei sufi spesso si riferiscono alla figura di Gesù. Pera Maria basti pensare che è l’unica donna menzionata col suo nome proprio in tutto il testo coranico”.

Perché allora un certo terrorismo si dice islamico e legato al Corano? Se il fondamentalismo è tornare alla radice del libro sacro il fondamentalista islamico dovrebbe fondarsi su amore e misericordia.

“L’ignoranza è il nemico più grande dell’essere umano. Lo dice anche Papa Francesco: una buona evangelizzazione parte dalla conoscenza dell’altro. E più volte ha ripetuto che i testi sacri dell’islam conservano una gran parte della verità cristiana”.

Difficile sperare che si diffonda la lettura del Corano in Europa e nel mondo cristiane dal momento che anche le Bibbie e i Vangeli sono sugli scaffali di molti, ma per prendere polvere.

“In ogni modo la libertà venuta dal creatore permette di abusare non solo dei testi sacri ma del primo e assoluto testo sacro che è la vita stessa di ogni uomo. Il creato stesso è abusato e massacrato per l’opera dell’uomo. Questo non vuol dire che la creazione in se abbia il seme della violenza: un ragionamento simile va fatto per i testi sacri e in particolare per lo stesso Corano che al suo interno porta la vita, proponendo in tutti i suoi capitoli riferimenti alla creazione, alla natura, alla bellezza della vita sulla terra.

A noi abituati a pensare agli imam, magari con la barba, come gli interpreti del Corano, sembra strano vedere una donna insegnare teologia islamica. Come stanno le cose nel suo paese, l’Iran?

“In tutti i paesi islamici ci sono le facoltà teologiche, alcune statali: nell’istituto teologico sciita dove ho studiato in Iran, ci sono attualmente più di 8000 donne che studiano il Corano. Ma ne troviamo molte anche in altri paesi, come il Marocco”.

Articolo pubblicato su L’Adige del 25 febbraio 2016

Gender si nasce, non si diventa.

Fare chiarezza su ciò che non esiste: l’ideologia gender. E’ uno degli obiettivi, anche se paradossale, del nuovo libro di Michela Marzano “Papà, mamma e gender” (UTET).
“Nel momento in cui non si accetta la possibilità di una parola che sia Altra, se non si fa spazio in sé all’alterità, non esiste nemmeno la possibilità dell’ascolto, senza il quale non si genera il dialogo. Condizione per iniziare a comunicare e capirsi è l’ascolto e le argomentazioni non hanno genere femminile o maschile. Sono logiche, giuste, corrette oppure non lo sono”. A sostenerlo è la filosofa e parlamentare del PD, professoressa ordinaria di filosofia morale all’Université Paris Descartes, invitata da Arcigay di Trento il 12 dicembre scorso in una affollata sala 3 del Centro servizi culturali Santa Chiara, per tentare di fare chiarezza sul “mare magnum” di imprecisioni e superficialità che circolano attorno al termine gender, alla cosiddetta ideologia gender, alla differenza di genere e all’educazione sessuale nelle scuole. “Non ho scritto rivolgendomi agli “antigender”, ma a tutti coloro che sentono il bisogno di capire meglio. Forse l’ho pubblicato troppo tardi: tra genitori e famiglie ormai si è diffusa la paura di un tentativo di chissà quale gruppo intento a distruggere i valori tradizionali e l’idea di famiglia”. Le argomentazioni dunque devono essere rigorose: occorre essere chiari nella terminologia e non disorientare come tendenzialmente fanno coloro che paventano l’esistenza di una “ideologia gender”. Confondono differenza di genere, ruolo di genere, orientamento sessuale, pratiche sessuali, differenza di sesso e identità di genere. “Ho sentito alcuni utilizzare il termine genere, affermando che ne esisterebbero tre tipi: omosessualità, transessualità e pedofilia. Da qui nascono le incomprensioni, i fraintendimenti”. Secondo la Marzano da tali ambiguità terminologiche nasce la malcelata tendenza a generare confusione per indurre paura e smarrimento tra chi deve approcciarsi a questi temi. “La pedofilia è un reato – detto in maniera chiara – non un genere”.
Provando a fare il punto. Esistono solo tre orientamenti sessuali: eterosessuale, omosessuale e transessuale. Non lo si sceglie e non è possibile cambiare orientamento sessuale o educare qualcuno a cambiarlo (tranquilli i genitori impauriti dalla possibilità che a scuola il proprio figlio cambi orientamento a causa di qualche lezione di educazione sessuale): “E’ un sentimento precoce, profondo e duraturo: non una scelta libera”. Altra questione è il genere: “Esiste una molteplicità di studi sul genere, ma nessuno mai ha messo in dubbio che esista la differenza di sesso: uomo e donna. Ma ci sono modi diversi d’essere donna ed essere uomo. Talvolta non ci si percepisce in armonia con il proprio corpo e in questo caso si parla di transessualità: ma sono una minoranza”. Esempio: “L’orientamento sessuale non ha nessun impatto sull’identità e viceversa: ci siamo sentiti ripetere per tantissimo tempo che una ragazza è necessariamente attirata da un ragazzo. Ma una ragazza che non viene attirata da un ragazzo, ma da una ragazza allora non è più una donna? Essere donna significa necessariamente essere attirati da un uomo? No: una donna può restare tale ed essere attirata da altre donne. Si è utilizzato per anni l’orientamento sessuale come costitutivo dell’identità di genere, mentre in realtà l’identità di genere è indipendente dall’orientamento sessuale”.
Marzano ha ricordato come sia importante essere precisi quando si parla di questi temi: occorre ricordarsi che dietro ci sono persone, a volte molta sofferenza, dolore. E non è un caso che il numero di suicidi in passato e ancora oggi sia alto tra persone omo e transessuali. Vittime di un clima culturale. Qualcuno ancora pensa che l’omosessualità sia una scelta: è un atteggiamento devastante contro chi vive questa condizione.
“Sono eterosessuale e cattolica – ha proclamato la Marzano – per anni ho atteso il principe azzurro della mia vita poi mi sono accorta che non dovevo attendermi dalle persone che amavo il riempimento di quel senso di vuoto che ognuno di noi si porta dentro per sempre. Con Camille Claudel ho realizzato che: “c’è sempre qualcosa di assente che mi perseguita”. Fa parte della nostra condizione umana”. La sua cattolicità l’ha dichiarata nell’incipit del libro con un accenno a Carlo Maria Martini, che nel suo ritiro gerosolimitano dopo aver lasciato Milano, incontrò il fratello della Marzano, omosessuale in cerca di pace per i suoi sensi di colpa indotti da una cultura ancora incapace di accogliere la sua differenza.
Per finire la scuola: “Deve essere in grado di generare spirito critico: dare strumenti. Sopratutto deve insegnare che bambini e bambine sono uguali. Universalità dell’uguaglianza nonostante le differenze. La famiglia delega alla scuola l’educazione dei propri figli: non decide sui contenuti. Oggi molti insegnanti sono terrorizzati dal parlare di queste tematiche come l’uguaglianza tra bambine e bambini perché hanno paura di genitori che li possono accusare d’essere seguaci del gender”. Per tutti quei genitori che invece volessero capire e non giudicare a pancia o condannare, ora c’è anche il libro della Marzano da poter leggere. Su tutto ciò incombe quello che i sociologi chiamano “knowledge gap”, il divario conoscitivo: chi è già informato e tende ad approfondire senza giudicare superficialmente non ha bisogno di questo libro. Gli altri continueranno a spaventarsi guardando qualche talk show televisivo o leggendo un messaggio “terroristico” sullo smartphone che minaccia la fine della famiglia tradizionale e l’arrivo dei fantomatici “mostri gender”.

(Articolo pubblicato su L’Adige il 15 dicembre 2015)

Ci vorrebbe un nuovo concilio.

Ci vorrebbe un nuovo concilio, non un sinodo, per passare da una Chiesa che propone ancora principi e doveri tratti dal diritto canonico a una comunità ecclesiale capace di misamore-contaericordia e accoglienza. Lo sostiene Luigi Sandri, giornalista e scrittore: gli hanno fatto eco in tanti al convegno “La sessualità e la famiglia dal Concilio Vaticano II al Sinodo”, organizzato dal Museo Storico in Trento, sabato scorso nella sala rosa della Regione.“Sandri, storico trentino, (autore dell’opera “Dal Gerusalemme I al Vaticano III: i concili nella storia tra Vangelo e potere” (Il Margine) ) ha preceduto gli interventi di associazioni, cattoliche e non, convocate e coordinate da Silvano Bert, insegnante, scrittore e in prima linea sul tema del rinnovamento della Chiesa. C’era anche Arcigay: “Il Concilio Vaticano II non ha mosso nulla per gli omosessuali: sappiamo benissimo cosa dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: è oggettivamente disordinata l’inclinazione omosessuale, peccaminosa, se esercitata. Ma la nostra condizione, anche solo dal punto di vista laico, è di discriminazione: se è vero che aborto e divorzio, pur non essendo leciti secondo la Chiesa, vengono regolati da leggi dallo Stato italiano, quando si parla di omosessualità Stato e Chiesa sono sulla stessa linea. Stato laico fino ad un certo punto, dunque: l’ingerenza della Chiesa ha fatto si che in Italia non si permetta ancora alle persone omosessuali di sposarsi. A noi non è concesso avere una famiglia come avviene in tantissimi altri Stati d’Europa”. Così Paolo Zanella, Arcigay, ha sintetizzato la condizione degli omosessuali al convegno. La posizione di chiusura della Chiesa Cattolica dunque non riguarda solo i credenti, ha poi spiegato Zanella, ma tutte le persone omosessuali: “sappiamo di credenti e omosessuali che si sono rivolte ad altre confessioni cristiane, proprio perché si sentono esclusi e giudicati in ambito cattolico. La chiesa valdese è certamente più aperta su questi temi”. Per quanto riguarda il Sinodo, voluto da Papa Francesco, Zanella è stato piuttosto scettico: “Ci vorrebbe piuttosto un nuovo Concilio per affrontare alla radice questi temi: vediamo però dei piccoli segnali di apertura. La base ci sembra molto più avanti delle gerarchie”. Un accenno alla posizione del teologo VIto Mancuso: le argomentazioni bibliche e della legge naturale sono deboli. Dovrebbe prevalere la capacità della Chiesa di includere. “Sono fiducioso per le persone omosessuali credenti” – ha concluso Zanella, citando sempre Mancuso, “la maturità della comunità cristiana si manifesta nella sua capacità di accogliere tutti i figli di Dio così come sono venuti al mondo, nessuna dimensione esclusa”.

Che ci voglia un Concilio Vaticano III Sandri lo va predicando da tempo: la sua relazione sulla sessualità e la famiglia nella Chiesa Cattolica ha toccato tutti i nodi principali su cui oggi il sinodo si trova a discutere. Contraccezione, divorzio (con la questione della comunione negata ai risposati), aborto e omosessualità. Tutte questioni su cui però è necessario rivedere profondamente l’atteggiamento della Chiesa: non si tratta cioè per Sandri di aggiustamenti. Basterebbe tornare al Vangelo: “per Gesù Cristo la questione della sessualità è certamente secondaria. Ne parla in rare occasioni. Se l’avesse ritenuta importante e decisiva per la salvezza dell’umanità ne avrebbe parlato molto più ampiamente”. A parte alcuni punti sul ripudio nel matrimonio, nel Vangelo non si trovano altri grandi riferimenti al sesso. Perché la Chiesa Cattolica invece ha così a cuore questo tema? In ogni caso, secondo Sandri, basterebbe guardare a come fanno le altre confessioni religiose, prima di tutto gli ortodossi: per il caso del divorzio è riammesso a nuove nozze religiose il coniuge “innocente” (quello cioè a cui non è imputabile la rottura del vincolo matrimoniale). Per la questione della contraccezione Sandri ha richiamato il percorso per cui a fine ‘800 il Magistero cattolico iniziò ad opporsi al controllo delle nascite: si rispondeva agli anglicani che avevano ammesso la contraccezione, guardando alla condizione degli operai per cui avere tanti figli non er più un bene (come per i contadini bisognosi di braccia per i campi) ma un costo. Da allora in poi la Chiesa Cattolica non ha mai veramente abbandonato l’idea che la sessualità vada praticata solo in funzione della procreazione. Per Sandri infine occorre rileggere la parabola del Samaritano e riscoprire la misericordia verso chi è emarginato. Il dottore della legge e il sacerdote, nella parabola evangelica, non si sono fermati a soccorrere chi aveva bisogno. La Chiesa deve ritrovare l’atteggiamento del Samaritano.

pubblicato su L’Adige del 6 ottobre 2015

Desiderio d’aggregazione…

filo d'erbaDall’atomo alla libertà e spiritualità dell’uomo c’è un unico filo conduttore: il desiderio di aggregazione. Ecco perché, nella vita, anche d’un filo d’erba, si può rintracciare il divino. Questa vita: conoscerla, nutrila, proteggerla è il titolo del libro che sta per uscire (il prossimo 23 aprile per Garzanti), di Vito Mancuso , noto teologo e scrittore, che sarà a Rovereto (oggi alle 17, Teatro Rosmini , per la VI edizione di «Educa» che si apre oggi). Gli abbiamo chiesto qualche anticipazione.

«La filosofia della vita nella cultura dominante, l’evoluzionismo neodarwinista, parla di selezione naturale. Nel mio libro non nego questo dato: noto però che affinché qualcosa possa essere oggetto di selezione, prima di tutto deve esistere. La logica secondo cui gli enti vengono all’esistenza è quella aggregativa. Vale per tutti i fenomeni: già a partire dall’aria che respiriamo, unione di azoto e ossigeno. Gli stessi atomi sono aggregazioni. Qualsiasi cosa che venga all’essere è il frutto di una logica aggregativa. Ci sono chiaramente momenti di disgregazione, però sono sempre funzionali ad un’aggregazione maggiore. Fin dall’apparizione della vita dalla materia inerte, fino all’intelligenza dell’uomo e infine alla libertà. Ossia la dimensione dello spirito che permette alle persone di discutere, filosofare, indagare, amare».

Lei verrà a parlare di educazione: quella dimensione spirituale che lei indica come il vertice della vita, non le sembra sempre più lontana dal mondo dei giovani e dalla cultura dominante?

«Nei giovani, e non solo, vedo un rifiuto delle categorie tradizionali. Esiste una difficoltà a recepire l’impostazione religiosa classica assieme alla visione del mondo dalla scienza e dalla filosofia. Le persone che, nonostante tale divario, si dichiarano ancora credenti, spesso lo fanno con un senso di disagio misto a insicurezza. Quando si riesce invece a conciliare la prospettiva di fede con ciò che la cultura dominante propone, la possibilità di raccordare tensione spirituale e visione del mondo, nasce un grande interesse. I giovani avvertono una ricerca autentica quando non si impone loro un principio di autorità, ma piuttosto uno spirito d’indagine simile a quello della scienza attuale. La sete di spiritualità ci sarà sempre: l’uomo consiste in questo. Quando la si concilia con la scienza allora c’è una grande festa della mente. Vedo nascere gioia e una luce particolare negli occhi di chi intravede dei percorsi. Si tratta semplicemente di rintracciare piste plausibili, rinnovando fortemente il linguaggio».

La conoscenza, l’educazione, passa necessariamente attraverso la dimensione affettiva? L’amore genera conoscenza?

«Senza eros la conoscenza non avviene. Vale per tutti. Si conosce veramente ciò che si ama e si ama solo ciò che si conosce veramente. Rileggendo l’etica di Spinoza si capisce chiaramente: da un lato l’essenza dell’uomo è il desiderio. Dall’altra esiste la volontà di porre la ragione matematica come canone ultimo. Cos’è vero? L’una e l’altra cosa: noi siamo conoscenza e affettività unite. Dio stesso è logos ed amore. La vita stessa è logos e caos assieme».

Tornando alla questione della vita: come va declinato il tema del mondo animale e del rispetto, della cura, di ogni forma di vita?

«La vita è qualcosa che ci contiene tutti: uomini, animali e piante. Senza le piante e gli animali non saremmo qui. Nel nostro corpo abbiamo un numero di micro-organismi maggiore delle nostre cellule: non è stupefacente? Dentro di noi c’è un arcipelago incredibile di microesseri. Proprio perché la nostra vita è estremamente connessa a quella degli altri esseri viventi dobbiamo salvaguardare l’ambiente e praticare un’alimentazione nonviolenta. Questa è la strada per la costruzione di una natura-spiritualità. La vita si nutre di vita e non è possibile uscire dalla catena alimentare. Anche l’alimentazione vegetariana è violenta, perché si nutre di vita vegetale. A mio avviso si può allentare questa catena: praticando un’alimentazione che contenga il meno possibile di violenza».

Lei quindi è vegetariano?

«Ancora mangio pesce, ma la carne l’ho abolita da alcuni anni».

Si vive bene lo stesso?

«A me sembra di vivere meglio per varie motivazioni. La prima è quella spirituale. Penso che l’attenzione alla sacralità della vita faccia parte di una cultura spirituale adeguata. Un’alimentazione che esclude la carne aiuta il nostro corpo. Infine gran parte dell’inquinamento dipende dagli allevamenti di animali».

Non ha timore che – dopo le varie accuse, compresa quella di gnosticismo, da parte dei difensori della tradizione e dei dogmi – verrà accusato anche di vitalismo panteista?

«Panteismo e gnosticismo sono due accuse che s’annullano tra loro. Gli gnostici antichi avevano una visione negativa della natura, al contrario dei panteisti. A volte, paradossalmente, vengo accusato contemporanemente delle due cose. “Ogni autentica spiritualità è panteista” sosteneva Albert Schweitzer. Chi pronuncia la parola Dio con non può non riconoscere che sta parlando di colui che contiene tutte le cose. Non esiste una sana spiritualità che non riconosca la presenza di Dio anche in un filo d’erba. Chiaro che Dio non si può ridurre alla natura. C’è differenza tra panteismo e pan-enteismo . Io appartengo alla seconda categoria: non credo che la materia esaurisca il divino. L’astrofisica attuale lo insegna: l’energia materiale visibile è solo il 5% del totale dell’energia dell’universo. Ma esiste il 95% di materia oscura, 25% di materia oscura unita al 70% di energia oscura, di cui non sappiamo nulla. Già solo l’astrofisica ci indica la non riducibilità dell’universo in quanto tale a ciò che possiamo vedere. Se poi vogliono darmi del panteista facciano pure. La nostra riflessione o si libera di questi schemi e pensa liberamente, per il bene, l’intelligenza e il cuore delle persone, oppure resta ancorata a vecchi e improponibili schemi».

Papa Francesco ce la farà a rinnovare la Chiesa cattolica?

«Non lo so. Ci sono segnali positivi e altri meno. Vediamo se la seconda puntata del Sinodo si chiuderà con un nulla di fatto. Fosse semplicemente solo la comunione ai divorziati risposati, se non la riscrittura dell’etica sessuale. Andrebbe messa da parte la questione della contraccezione e dei rapporti prematrimoniali: perché, così com’è, l’etica sessuale della Chiesa non viene seguita nemmeno dai cattolici praticanti. Ci sono statistiche che parlano di un 1-8% di coloro che frequentano le parrocchie a seguire le indicazioni sulle questioni sessuali. È un dato che indica la débâcle competa dell’etica sessuale. Non pretendo che si arrivi subito a riscrivere l’etica sessuale: almeno però si conceda, come il Papa vorrebbe, la comunione ai divorziati risposati. Se Francesco non ne ha la forza, allora il rischio è di un effetto boomerang: grandi attese, bei gesti, incapaci di tradursi in veri cambiamenti nella Chiesa».

 

(Articolo pubblicato su l’Adige del 18 aprile 2015)