La bellezza? Subire una ingiustizia, piuttosto che commetterla.

“L’uomo buono è, concretamente, colui che subisce un’ingiustizia piuttosto che commetterla. Penso che la persona buona sia anche una bella persona. Ma il valore della bellezza non è per tutti lo stesso. Quando Dostoevskij disse che “solo la bellezza salverà il mondo”, in realtà ci ha trasmesso un bellissimo verso poetico, ma concretamente che cosa ci offre? Da cosa ci può salvare la bellezza? Certamente non dalla morte. E allora da che cosa ci salverà? Per alcuni la bellezza è la guerra. Per altri è bello l’eroismo di Ercole. Per altri ancora è bello vedere il fuoco della catastrofe. Per me il bello è il buono, ma sono consapevole che i concetti di bene e di bello sono concetti personali. E dunque quale bellezza potrà salvare il mondo?”
Sono le battute finali di una lunga intervista ad Anges Heller che Francesco Comina, scrittore e giornalista, direttore del “Centro per la pace” di Bolzano ha realizzato assieme a Luca Bizzarri. La Heller sarà a Trento il prossimo 1 settembre (ore 18, sala Madruzzo dell’Hotel Trento) per presentare il libro “I miei occhi hanno visto” (Il Margine). “La bellezza della persona buona” (Diabasis) è anche il titolo dell’ultimo libro scritto direttamente dalla filosofa di origini ebraiche, nata a Budapest nel ‘29, dove ha conosciuto prima la vita nel ghetto, le persecuzioni, poi la “speranza” del marxismo, la delusione del totalitarismo e della primavera di Parga, l’esilio come dissidente e infine il ritorno nella sua patria dopo la caduta del muro. Oggi, con Comina, ha ripercorso tutte queste tappe in una conversazione particolare, svoltasi durante i giorni di Pasqua di quest’anno, a Verona”.
“Questo libro – racconta Francesco Comina che ha costruito la narrazione – è il frutto di un’amicizia che si è stretta nell’ultimo anno con la grande filosofa ungherese. Quando la invitai a Bolzano e ad Arco per un giro di incontri nel 2011 si determinò una magica combinazione di empatia. Lanciai alla Heller l’idea di ritrovarci per creare un libro sulla sua vita e sul suo pensiero. Nell’aprile scorso ci siamo riuniti per quattro giorni nel silenzio del monastero degli Stimmatini a Sezano, sulle colline veronesi. Da quelle intense chiacchierate sono venute trenta ore di registrazioni in tedesco che poi sono riportate in italiano. Di qui il lavoro narrativo per dare immediatezza al libro e per portare il lettore quasi ad essere fisicamente presente nello spazio e nel tempo di quei quattro giorni memorabili che abbiamo vissuto nel monastero del bene comune di Sezano. Abbiamo discusso di tutti gli eventi più importanti del Novecento, dal problema del male ad Auschwitz, al cratere di Hiroshima, dall’incontro con Lukacs allo scontro con il regime comunista, dalla teoria dei bisogni radicali alla fine delle grandi narrazioni, dalla resistenza all’esilio e agli aneddoti con i grandi pensatori che la Heller ha frequentato da Adorno a Kolakowski, da Lévinas a Fromm, da Lucien Goldmann a Rorty”.Il racconto della Heller termina appunto con la domanda “quale bellezza ci potrà salvare”, se non esistono “valori assoluti” e se anche la stessa bellezza è relativa? La risposta però possiamo intuirla cercando cosa significa veramente l’”onestà” del’”uomo buono” per la Heller: “Una persona onesta nel suo abbandonarsi non perde il suo sé è evidente. Tuttavia l’abbandonarsi rimane l’abbandono di sé. Non sono io la fonte della felicità, ma l’altro. Il mio volto è radioso non perché illuminato da una comprensione, ma perché il volto di un altro è rivolto verso di esso”, scriveva la filosofa in “Oltre la giustizia”, nel 1990. Oggi insiste su quel concetto di “bontà” e “onestà”: una base da cui riprendere il filo per riscoprire il valore dell’altro. Dunque la filosofia è in grado di parlare ancora agli uomini solo se capace di “tornare alle cose”: qual’è la verità? cos’è l’essere? la felicità? la morale? Gli altri tipi di filosofia sono esercizi per esperti che poco hanno a che fare con la vita della gente. “Solo un pensiero che torna alla vera natura delle cose porta l’umanità a riflettere sulla sua condizione di vita e sulle aspettative future”, dice la Heller che dell’umanità ha visto il lato peggiore quando in nazisti entravano nel ghetto dove lei, bambina, sopraviveva.
Articolo apparso su L’Adige del 31 agosto 2012

Dios no mata. Intervista a Adolfo Pérez Esquivel, premio nobel per la pace.

L’uomo, non potendo «uccidere» Dio, lo allontana come fosse uno straniero con il «foglio di via». Invece «Dio non uccide».
«Dios no mata» è la frase che Adolfo Pérez Esquivel, (premio Nobel per la pace 1980, nato nel 1931 a Bueons Aires) aveva visto scritta con il sangue in una prigione, detta «tubo» perché molto bassa. L’aveva scritto qualcuno che, come lui, era stato incarcerato e torturato dal regime dittatoriale del presidente Videla, nel 1977. Esquivel sarà a Trento questa sera (ore 20.30, Sala grande del Castello del Buonconsiglio; modera Francesco Comina del Centro Pace di Bolzano) e per l’occasione sarà presentato il libro «Dio non uccide» di Arturo Zilli (editore Il Margine). Il libro ricostruisce la biografia di Esquivel, segnata da un grande impegno profetico per la non violenza, unita alla pratica della teologia della liberazione.
Oggi è presidente del Tribunale permanente per i diritti dell’uomo e del Servizio pace e giustizia, organizzazione internazionale (la referente italiana, Grazia Tuzi, lo sta accompagnando in questa serie di incontri italiani). La Provincia di Trento attualmente sta sostenendo un suo progetto a Buenos Aires per un centro giovanile.
Ma molti sono i segnali di «restaurazione» in America Latina.
Sembra si voglia porre fine alla stagione dei governi democratici: Esquivel ha già avuto modo di segnalarlo prendendo una posizione di netta condanna alla cerimonia in
omaggio al dittatore Pinochet avvenuta in Cile con l’appoggio del governo di
Sebastián Piñera. Gli abbiamo domandato quale sia la situazione attuale: «L’America Latina vive un momento di forti contraddizioni: c’è stato un golpe di stato in Honduras, attualmente anche in Paraguay, ci sono difficoltà in Guatemala, Salvador. Un situazione piuttosto grave c’è in Colombia, in Messico, con gravi violazioni dei diritti umani e una
democrazia troppo “formale” e poco reale. Più che una democrazia
consolidata c’è una apparenza di democraticità: guardiamo ad esempio al Cile, con la forte repressione degli studenti. Un Paese che dice di applicare leggi “anti-terrorismo”, ma
nasconde il “terrorismo di Stato”. Anche in Colombia, in Honduras, in Argentina: ci sono delle forti repressioni dei movimenti sociali. I governi autoritari si stanno
rinforzando, a discapito della democrazia. La situazione dei diritti umani in Messico, anche se a breve ci saranno nuove elezioni, non credo che cambierà di molto. Questo il panorama
attuale: la crisi economica generale inoltre ci dice che la povertà si potrebbe superare solo con delle serie politiche sociali».

Un bilancio sulla presidenza di Obama: cosa ha fatto per l’America Latina e per la pace?
«Non sta facendo nulla. Non ha terminato la guerra in Iraq e Afghanistan e in America Latina sta imponendo e sostenendo i regimi militari in tutto il continente, senza cambiare atteggiamento con Cuba. Obama non ha modificato assolutamente nulla».

Lei non si era illuso, come molti, che le cose potessero cambiare con la presidenzadi un nero democratico?
«Non ha il potere: ha la presidenza. Il potere vero è nelle mani delle grandi corporazioni economiche e del complesso industriale di tipo militare».

In «Dios no mata», il libro, si parla anche del periodo in cui lei fu torturato in prigione: cosa le resta di quella tremenda esperienza?
«È stata appunto una esperienza di vita: mi definisco un “apprendista” della vita. E la violenza subita fa parte della mia vita».

Un’esperienza positiva, invece, è stato l’incontro con la teologia della liberazione.
Pensa che quel metodo di interpretare il cristianesimo sia ancora valido oggi?
«La intendo come il cammino dei popoli: ha la capacità di mettere
assieme il sentire autentico dei cristiani e la loro spiritualità con un’azione concreta nella vita. La radice della teologia della liberazione: mettere in pratica il principio evangelico “ama il tuo prossimo come te stesso”. Dio non uccide, ma, pensando anche alla vicenda di Gesù Cristo, l’uomo uccide Dio.
«Mi sembra un’eccellente questione: il fatto è che siccome l’uomo non riesce a uccidere una volta per tutte Dio, allora lo allontana, rendendolo uno “straniero” da espellere dalla propria
società. Invertiamo questa tendenza e facciamo in modo che Dio non si sentauno straniero in mezzo a noi».

Guardando all’Europa di oggi: la crisi economica sembra l’unica vera preoccupazione; il Pil, la crescita. Quali valori invece dovrebbero rifiorire secondo Esquivel?
«Noi in America Latina viviamo da tempo questa crisi economica. Una crisi permanente. Ormai è come una sorella maggiore. A tratti la amiamo e spesso la odiamo. Crisi deriva da
“crescita”, da una crisi può nascere Pérez Esquivel, «Nobel» per avere denunciato gli abusi della dittatura militare argentina negli anni ’70 una evoluzione, verso una nuova vita. Oppure possiamo retrocedere. Di fronte alla crisi dobbiamo diventare creativi. Per esempio: l’Europa che ha tanti problemi, potrebbe guardare al sistema delle “fabbriche recuperate” che abbiamo messo in pratica noi in America Latina. Dove, tramite la
partecipazione popolare, non si scambia più il lavoro con la merce. Ma si produce anche cultura, arte. Perché il problema della crisi non è solo economico: la crisi è dei valori. Siamo in una società ormai quasi totalmente indirizzata verso l’individualismo.
Dobbiamo recuperare il concetto di “comunità” e di partecipazione sociale.
Tutti pensano che il male sia economico: ma il problema centrale è che il “prezzo” di una merce e il valore non sono la medesima cosa.
Recuperare il valore non ha un prezzo.

(pubblicato su “L’Adige” del 3 luglio 2012, pag.13)