L’ironia e la ricerca della verità.

L’ironia, la comicità, contribuiscono a svelare la verità, a smascherare ciò che non va. Ma chi passa dall’ironia alla politica attiva fa un salto anomalo. Giacomo Poretti, del famoso trio Aldo Giovanni e Giacomo, concepisce il suo lavoro di comico come un contributo a modificare atteggiamenti e situazioni che non vanno. Con un occhio alla dimensione spirituale nel ridere, nel gioire e nel saper ironizzare.

Riso e Pianto” è il tema, il contrasto della vita, che sarà il centro dell’ultimo incontro per la “Cattedra del Confronto” organizzata dall’Ufficio diocesano cultura e università per martedì 23 aprile (ore 20.45, Sala della cooperazione, Via Segantini). Una delle due voci, tradizionalmente a confrontarsi sono personaggi con vedute diverse sul medesimo tema, sarà quella di Poretti, accanto ad Eraldo Affinati, scrittore noto per il suo impegno come insegnante nella “Città dei ragazzi” a Roma. Il contrasto questa volta è di quelli che mettono di fronte a due emozioni forti, gioia e dolore. Che ridere sia una “cosa seria” lo testimoniano gli impegni di filosofi ed intellettuali. Da “Il motto di spirito” di Sigmun Freud a “Il riso” di Henri Bergson sono tanti i tentativi di comprendere i meccanismi del ridere. Sul pianto invece occorre fare un lavoro di comprensione profonda, ma si ha a che fare con il dolore sul quale la parola ultima e lenitiva a volte è solo la compassione.

Iniziamo dal tema della serata: Come intende affrontare la parte che le riguarda? “Cercherò di farlo a partire dal mio lavoro – risponde Poretti – Come la comicità ha incontrato la mia vita. Al punto da farne un lavoro. Cercherò di spiegare, annoiando il meno possibile, quale significato ha per me la comicità e cosa si intenda quando far ridere diventa un lavoro. Sul riso e sulla comicità in generale ci sono varie curiosità. Forse posso aiutare, in questo momento particolare del nostro Paese, in un periodo piuttosto difficile, a rispondere a delle domande su cosa ci aiuta, con il ridere, ad affrontare tutto ciò. In maniera meno generica possibile”. Dunque la comicità può avere un ruolo per capire meglio il nostro tempo, la vita di ognuno? “Sono convinto che, più della comicità, l’ironia sia un atteggiamento mentale che se adottato e accolto ci aiuta a svelare i nostri difetti e pertanto, tendenzialmente, ci facilita la ricerca della verità delle cose. Tutte le volte che si fa del’ironia si cerca di smascherare un difetto, un atteggiamento rigido di persone o situazioni. Se accolta, l’ironia apre la possibilità di modificare ciò che non funziona. Si può procedere a cercare un senso diverso. Per questo c’è sicuramente un lato spirituale del fa ridere”.

Cosa pensa dei comici che diventano politici? “Domanda complicata…. certamente si riferisce a Grillo e alla situazione nuova venutasi a creare in Italia: abbastanza unica, anomala. Bisognerebbe aspettare a giudicare, credo. Personalmente ho apprezzato moltissimo Grillo fino a quando arrivò ad istituire i famosi “Vaffa day”. Si trattò di una operazione di satira molto marcata e abbastanza decisa che però restava nei confini dell’atteggiamento ironico di cui parlavo prima. Uno smascheramento di un difetto o di una serie di cose che non funzionavano. Diventando poi politica la scelta di Grillo non mi interessa più. Non la condivido. Anche se le cose in questo caso sono nettamente separate. Un conto è l’ironia altro è l’attività politica fatta da un comico, o ex comico. In questo caso è la persona, Grillo a decidere come porsi”.

La comicità agisce in tutte le sue variegate forme o c’è un ridere inutile, superficiale, disimpegnato? “Stanlio e Ollio, i film di Totò, Buster Keaton, Aldo Fabrizi erano inutili? Non credo che valga solo la satira politica in termini di comicità. Personalmente la relego ad in genere abbastanza inferiore. La comicità ha una sua funzione importante. Altrimenti restringiamo troppo il campo”. Ogni comicità dunque è capace a suo modo di leggere la realtà e di rimandarla a chi ride in modo da poterci riflettere. Che dire del rapporto riso – pianto? “Le due cose certamente hanno una certa vicinanza. Il modo di dire “si ride per non piangere” credo sia molto significativo. La dice lunga su quanto siano vicine queste due apparenti etremità”. Lei nella sua vita si occupa anche di volontariato in ambienti cristiani, a Milano: che ruolo ha la dimensione spirituale, religiosa, nella sua vita? “Se si riferisce alla mia collaborazione con il Centro culturale San Fedele a Milano e altre situazioni sono luoghi di aggregazione cattolica. Sono un credente. Mi sembra una cosa normale. Mi ci ritrovo e cerco di praticare il mio apostolato culturale laddove è possibile”.

Per concludere: “gioire con chi gioisce e piangere con chi piange”, diceva San Paolo: che senso ha per lei questa proposta? “ E’ una idea vastissima, grande. Ma mi viene da dire delle cose normalissime. Dobbiamo cercare di essere in allegria con le persone con cui condividi delle cose della vita. Si ride con chi ci è più simile e vicino. La seconda parte della frase ci rende attenti alle persone che soffrono. Provare compassione, vuol dire ritrovare in se stessi il medesimo sentimento dell’altro che soffre. Per tentare di comprendere la sofferenza altrui occorre saperla accogliere dall’altro che realmente soffre”. 

Capitalismo che diventa religione.

capitalismo

Il debito non deve essere colmato: occorre riprodurlo per mantenere in vita un sistema economico come il capitalismo che ha molti lati in comune con l’ascesi. La soluzione alla crisi economica attuale non verrà pertanto dagli economisti, ma dalla filosofia, dalla religione, dal cambiamento culturale. Come l’idea del capitalismo è sorta in ambito religioso così anche sarà possibile trovare nuove strade dalla contaminazione tra

 le religioni e le loro idee sul denaro, giustizia,  ricchezza,  povertà. Elettra Stimilli , ricercatrice presso l’Università di Salerno, ha avviato questo percorso di indagine soprattutto analizzando l’idea di debito e di ascesi propria del capitalismo. Sarà a Trento il prossimo martedì 16 aprile (ore 15) presso l’Aula Magna del Liceo Leonardo Da Vinci nel ciclo di incontri su “Filosofia del Denaro” organizzata da Michele Dossi del dipartimento di filosofia in collaborazione con il Centro Formazione Insegnanti di Rovereto.

Le abbiamo chiesto di chiarirci innanzitutto il rapporto

 tra ascesi e capitalismo: “Si tratta della questione del debito, che oggi è di grande attualità e che è sottesa alla crisi economica. Sembrerebbe oggi che il rapporto tra ascesi e capitalismo sia molto chiaro: occorre rinunciare a consumare per risanare il debito. In realtà l’economia del consumo, quella in cui c’era lo sperpero, l’acquisto a tutti i costi, atteggiamento origine della situazione in cui ci troviamo, non è così contrastante con una concezione come quella della rinuncia. Così come nell’economia del consumo l’ob

iettivo non è raggiungere determinati beni o soddisfare bisogni, bensì continuare a fomentare desideri. Il debito non deve essere colmato: occorre riprodurlo per mantenere in vita un sistema economico come il capitalismo. Ecco la rinuncia, l’ascesi.
Guardando al Vangelo e a certe sue istanze sulla povertà, sul rifiuto della ricchezza come strada verso “il Regno di Dio” come può essere avvenuta una tale distorsione da portare, in ambito protestante, alla nascita del capitalismo? “A mio avviso non c’è distorsione: il rapporto tra cristianesimo ed economia è molto antico. Sin dalle origini quella cristiana è la prima comunità a pensarsi in termini economici. Traducendo il linguaggio giuridico ebraico in quello amministrativo: l’Ecclesia andava ammistrata e ognuno doveva essere “economo” di se stesso. La concezione ebraica del peccato viene tradotta in “debito”: Cristo è venuto a colmare il debito, ma solo attraverso la grazia. Ciascuno invece deve amministrarlo e gestire una situazione che non può essere annullata. Il peccato originale resta. E’ fondamentale questo meccanismo per capire cosa succeda a livello economico. La questione della povertà è molto complicata: in realtà studi di storia medievale evidenziano che proprio nel francescanesimo si origina un modello economico dove appare il concetto di mercato. Sono i francescani i primi a gestire se stessi in quanto “debitori” e persone che possono “fare a meno di”, ma non in maniera strumentale per una vita ultraterrena, ma perché su questa terra si può vivere in quanto esseri manchevoli, in debito”.
Alternative al sistema capitalistico? “Una critica al sistema non può essere fatto in maniera semplicistica. Non è sufficiente invocare la decrescita per superare la crisi. Molti degli elementi che vengono presi in considerazione da chi vorrebbe la decresita sono interni al sistema. Solo entrando dentro al capitalismo si può trovare una via d’uscita. Non è necessario invocare la povertà”.
Cosa dire dell’istanza evangelica di giustizia, di equità, guardando alla nascita del capitalismo, basato sulla legge del più forte, del profitto, in seno alla cultura cristiana? “Non vendo una evoluzione storica tra cristianesimo e capitalismo. Dobbiamo invece osservare come nella religione cristiana si è avviato un meccanismo di potere. Questo non significa solo “male”: è un sistema che ha funzionato. Questi elementi sono presenti ancora nell’attuale sistema economico”.

Il confronto, la contaminazione tra religioni, islam, cristianesimo, buddhismo, può essere utile sui temi economici? “Ne sono certa: ogni contaminazione è positiva. L’islamismo ha assunto tanta importanza attualmente perché il capitalismo è diventata la religione dell’occidente. Se il capitalismo viene indentificato come tale, una religione, le altre forme di fede possono solo trarne giovamento e avanzare proposte e vivere soluzioni diverse”.

Articolo pubblicato su L’Adige del 14 aprile 2013