Marion: l’eros e il divino nella filosofia.

6a00e54f0b199088340176171d25ba970cAvremmo bisogno di una nuova razionalità per guardare all’amore come alla vera “logica del mondo”, non come un impulso, un sentimento. Anche perché la fede nel Dio dell’Amore è una forma di intelligenza: la stupidità il vero peccato.
Jean-Luc Marion, docente presso la Sorbonne, L’Istitut Catholique de Paris e L’University di Chicago è uno dei massimi filosofi fenomenologi del nostro tempo. E’ giunto ieri in Trentino per partecipare al Seminario di alta formazione, organizzato dal Centro di Studi e Ricerche “Antonio Rosmini” del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, che si terrà a Rovereto dal pomeriggio di oggi (18 marzo). L’evento più atteso è la “lectio magistralis” di Marion che si terrà giovedì 20 marzo alle ore 17.30 a Rovereto presso la Sala degli Specchi della Casa Natale di Antonio Rosmini (C.so Rosmini 28). Il titolo della lectio: “La questione dell’amore”. Per chi frequenta la filosofia contemporanea Marion con le sue idee, al margine tra fenomenologia e teologia, tra ricerca di Dio e amore per la verità, ha fatto e fa ancora molto discutere il mondo accademico, ma non solo. Il suo sta diventando un linguaggio universale, riportando al centro della riflessione un concetto universalmente riconosciuto come determinante per la vita quotidiana degli uomini: l’amore. Abbiamo incontrato il filosofo a Trento, in un dialogo dove Marion, ci ha riassunto alcune delle tematiche più importanti delle sue giornate trentine e le linee fondamentali del suo pensiero, ad uso di tutti, non solo per “gli addetti ai lavori”.

Ci spieghi, professore, come dovesse farlo per un profano, il rapporto tra amore e filosofia: lei ha tanto lavorato per chiarire il valore razionale del concetto di amore, e non solo quello religioso o spirituale. Per arrivare dove? Cosa vuole dimostrare? “La filosofia è intimamente legata all’amore: è amicizia per la sapienza. Significa che l’amore è all’origine della ricerca della verità. Ma la filosofia moderna ha reso impossibile una comprensione razionale, rigorosa, dell’amore. Abbiamo reso l’amore una “caricatura di se stesso”: lo chiamiamo desiderio, passione, irrazionalità. Persino in gran parte della letteratura d’amore esso è visto come una sorta di malattia, follia, eccezione al comportamento razionale. Oggi non esiste più un discorso sull’amore se non nei termini di desiderio, puro o impuro che sia, spiegato biologicamente. Senza alcun valore teoretico o etico. Forse abbiamo bisogno di un altro modo del pensare, di un’altra razionalità: quella dell’amore.
La ragione moderna, la ratio della scienza e della tecnica, è basata sul principio dell “io, che non solo pensa se stesso, ma si pensa come principio primo e ultimo di tutte le cose. Questo approccio, tale modalità di pensare, si è trasferita anche nel nostro modo di amare. E amiamo, desideriamo degli “oggetti”, non più dei soggetti, qualcosa che sia altro dall’io. L’amore allora diventa un bisogno, uno scambio, una convenienza reciproca, un calcolo di interessi. Il mio punto di partenza è stato quello di mettere l’”io cogito” tra virgolette. Perché nell’amore non c’è più al primo livello un “io” che pensa il resto del mondo. C’è l’esperienza opposta: quella di “essere pensato” per un altro. L’inizio del fenomeno erotico è che l’io non è più il centro del mondo. L’io non ha solo “bisogno” di un altro. L’esperienza stessa dell’amore è l’esistenza di un altro più importante di me. Non perché ognuno debba avere uno generico slancio di generosità : lo stesso sguardo dell’altro sopra di me è più importante della riflessione di me su me stesso. Non sono più il centro del mondo, ma neanche il centro del mio mondo. Questa è per me la “riduzione erotica” dell’io: il centro della spazio del mondo è l’altro”.
Tra la sua filosofia e la teologia ci sono non pochi punti di contatto: come si deve leggere la parola amore nella Bibbia. E’ eros, agape, amore erotico, amore gratuito? Come va interpretato il concetto di “cuore” che ricorre spesso nel testo biblico per indicare l’amore di Dio per l’uomo? “Nella Bibbia c’è l’agape, ma anche l’amore di tipo erotico, volgarmente inteso, è ben presente nel testo biblico. La distinzione eros-agape fu sostenuta nel secolo scorso, in ambito del cristianesimo protestante, ma è estranea la divisione tra tipi di amore nella Bibbia. Ogni distinzione e divisione dell’amore è una perdita di significato: il concetto di amore, se esiste, è unito. Unico. Se abbiamo bisogno di due concetti per spiegare l’amore significa che non abbiamo un concetto chiaro dell’amore. Per il cristianesimo questo concetto unico è di vitale importanza: se Dio ha detto di se stesso “sono Amore”, se Dio e la Chiesa hanno insegnato che senza amore non c’è salvezza, vuol dire che l’uomo deve imitare Dio dal punto di vista dell’amore, nel praticarlo. Dobbiamo amare nella stessa maniera in cui Dio ha amato noi, in Gesù Cristo: dovremmo avere la stessa maniera di amare di Dio. Per questo è indispensabile avere un concetto univoco di amore. Se c’è un modo divino di amare, e il nostro è intriso di peccato, allora la nostra esperienza di amore, piena di eros, volgarmente inteso, diventa troppo lontana da modo di amare di Dio. Ma guardiamo i padri della Chiesa e la teologia classica: hanno sempre parlato di una “scala” di amore, di livelli di amore sempre più vicini però a quello di Dio. Al modo in cui Dio ama. E’ come nel caso dei doni dello Spirito: sono tanti, ma lo Spirito Santo è uno solo. I livelli dell’amore sono tanti, ma esiste una solo “logica” dell’amore.

Lei ha spesso parlato di idolatria, in varie modalità, non solo religiose. Quali sono le forme di idolatria più pericolose oggi? Da quali idoli dovremmo liberarci? “L’idolatria è sempre la medesima: non cambia nei tempi. Significa utilizzare qualsiasi cosa, oggetto, come un sostituto di Dio. Capace di fornire un idolo. Accade dunque che, come diciamo in francese, il “visibile riempie tutta la vita”, senza spazi vuoti. Tutto lo spazio visivo è “saturo”. In quel momento decidiamo che quella “cosa” è il nostro assoluto. Una sorta di specchio di noi stessi. Charles Baudelaire lo spiegava dicendo: ogni idolatria è sempre una auto-idolatria. L’esperienza di una visione chiusa su se stessa. Per questo è possibile idolatrare qualsiasi oggetto. Il risultato è sempre il medesimo: chiudersi nello sguardo si se stessi e sfuggire dallo sguardo dell’altro e di Dio. La produzione dell’idolo è inevitabilmente mortale. Il punto più importante è fare l’esperienza opposta: essere visto dall’altro. Sostenere lo sguardo dell’altro su di se. Per questo è centrale l’esperienza dell’amore: significa sperimentare in maniera radicale l’alterità. Scoprire che “io stesso” non sono uguale a “me stesso”. Sono sotto il peso dell’esteriorità dello sguardo dell’altro. Credo sia questo l’inizio della riduzione erotica. Ma poi ci sono molte altre tappe, capire come la volontà di essere amato, possa produrre l’odio e la guerra. E infine intuire la possibilità di amare senza chiedere la reciprocità, senza domandare un ritorno, : è esattamente l’amore di Dio, ma anche di un Don Giovanni. Dio ama senza reciprocità per l’eternità, Don Giovanni in una vita ha creato la possibilità nell’altro di credere di “essere amato”.
Benedetto XVI la nominò nel 2011 membro del Pontificio Consiglio della cultura: quale è la sfida di tipo culturale che la Chiesa Cattolica dovrebbe affrontare oggi? “La cosa più importante credo sia proporre un’esperienza forte del mistero della fede. Facciamo in modo che diminuiscano i dubbi, da parte dei cristiani, i grandi dubbi sul mistero cristiano. Non è raro incontrare molti cristiani, sinceri, ma che non sono completamente persuasi che Dio abbia ragione, o che il Cristo non è più morto . Noto un deficit di fede generalizzato che comporta un deficit dell’amore e della rivelazione. Quando parliamo non siamo, da cristiani, completamente convinti del nostro messaggio. Aver meditato e approfondito il mistero cristiano conferisce, a mio avviso, la capacità di entrare in un dialogo più profondo con gli altri. La fede è un modo dell’intelligenza, del resto. La stupidità è un peccato.

Articolo pubblicato su L’Adige del 18 marzo 2014, pag. 9.

Non darsi per vinti…

Marcello Osler con i ragazzi della 1F delle scuole medie Garbari
Marcello Osler con i ragazzi della 1F delle scuole medie Garbari

Ha cantato “La montanara” dopo 53 giorni di coma, Marcello Osler: risvegliatosi quando nessuno più, o quasi, ci credeva che potesse ritornare a parlare, cantare, sorridere e forse, chissà,  anche a rimettersi in sella, su una bici. E i “miracoli” sembrano possibili quando ci si mettono anche 25 ragazzi delle scuole medie Garbari di Pergine Valsugana che ieri sono andati a fargli gli auguri di Natale al Villa Rosa, dove si trova attualmente. Osler, ciclista professionista dal 1973 al 1980, vincitore di una tappa del giro d’Italia 1975, ebbe un malore ai primi di agosto di quest’anno . Era in bici, sulla strada che corre dietro al castello di Pergine. Il suo cuore si è fermato. E il suo cervello non ha ricevuto ossigeno per un tempo lungo, sembrava troppo lungo per potersi riprendere. L’ambulanza arrivò dopo sette minuti dalla richiesta di soccorsi, mentre il fratello Gino gli praticava un massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. In totale il cuore è rimasto 20 minuti senza battere: poi ha ripreso, ma Marcello è rimasto in coma. Inizialmente i medici hanno fatto tutto il possibile per riattivare le funzioni cerebrali, ma il ciclista, conosciuto e amato in città, sembrava non rispondere. La moglie, Elena, sempre accanto a lui, nel momento in cui è stato spostato in un altro reparto, perché la rianimazione sembrava non funzionare, non si è mai data per vinta. Marcello ha anche dovuto combattere con un virus, perché le sue difese immunitarie nel frattempo si erano affievolite. A metà settembre la classe 1F delle scuole medie Garbari, appena formatasi per l’inizio della scuola, era in uscita presso il rifugio Sette Selle. Gita dell’accoglienza: con la prof. Marta Scalfo, appassionata di bici e fervente sostenitrice dell’uso del mezzo a due ruote per riprendere degli stili di vita sostenibili e compatibili con l’ambiente. Ai suoi alunni ha raccontato di Marcello, della sua passione per la bici, e della sua malattia. Del lavoro che aveva iniziato a svolgere con il suo negozio-officina bici  in Via Pennella, dove aiutava anche i più piccoli a tenere in ordine le due ruote. I ragazzi hanno recitato una preghiera tutti assieme: chiedevano che Marcello si risvegliasse . Coincidenza? Qualche giorno dopo Osler ha aperto gli occhi e appena gli sono stati tolti i supporti per la respirazione, con la moglie Elena, ha cantato: la seconda voce de “La montanara”. Lo ha raccontato lei stessa ai ragazzi che ieri pomeriggio sono andati, con disegni, cappellini natalizi,  canti e flauti da Marcello (accompagnati   dalla Scalfo e Armida Moser, docente alle Garbari): dal 21 di settembre piano piano Osler sta riprendendo le sue funzioni motorie. Ma il cervello è a posto: ricorda tutto, parla, sorride, canta. Il negozio? Passerà di gestione. Ma non passerà la passione per la bici, da trasmettere ai giovani che hanno chiesto si risvegliasse . Un miracolo? Certamente una grande gioia per tutti quelli che a Marcello vogliono bene.

(articolo pubblicato su L’Adige del 19 dicembre 2013)

 

Povertà ed emarginazione.

foto del sito di "Medici senza frontiere"
foto del sito di “Medici senza frontiere”

Essere solidali “conviene”, è nell’interesse di ognuno vivere in una società dove chi resta indietro, chi è povero, disabile, tossicodipendente, migrante può trovare qualcuno che lo aiuti. Perché ognuno di noi può trovarsi in condizioni di necessità e nessuno “è salvo” o immune. E la solitudine è il male dei nostri giorni. Don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, sarà a Trento il prossimo mercoledì 20 novembre (ore 21, Sala Polifunzionale Opera universitaria, Via Prati 10) a parlare di “Povertà ed esclusione sociale” in una serata organizzata dalla FUCI (Federazione universitaria cattolica italiana), assieme al vicepresidente del Gruppo Abele, Leopoldo Grosso. Don Vinicio, settanta anni da poco compiuti, oltre che da sempre impegnato nel sociale è anche docente di diritto canonico presso l’Istituto Teologico marchigiano. E’ stato da poco pubblicato il suo ultimo libro “La finestra sulla strada” (Ancora edizioni), un’autobiografia densa di riflessioni e finestre sulla nostra società. Gli abbiamo domandato quale a suo avviso sia la povertà emergente in questi ultimi anni. “La prima è quella materiale, dovuta alla crisi economica incombente, ma la seconda e più emergente è quella della solitudine. E’ diffusa a tutti i livelli, senza distinzioni sociali: i problemi, se devono essere affrontati in solitudine, diventano tragedie. Infine c’è una terza povertà: quella culturale. Riguarda tutta una fascia di popolazione che ha paura, che si lascia spaventare e sedurre da chi punta il dito verso i diversi e fa promesse di soluzioni facili. Gente che con una parola un pochino forte definirei “ottusa”: non è capace di guardare avanti, difende i piccoli territori, i privilegi. Se queste tre povertà si sommano, è la fine: pochi strumenti, pochi amici, propensione allo stigma e la povertà diventa totale”. Ci sono degli antidoti a questa “miseria” dilagante? “La solidarietà: concetto che non va inscritto alla generosità e alla larghezza del cuore, ma rientra nell’ambito dell’interesse. La parola non deve impressionare: siamo in una condizione in cui nessuno può sentirsi sicuro. Una malattia, un incidente, un qualsiasi elemento può metterci in condizione di necessità. Il clima generale odierno non facilita nemmeno tale idea d’interesse. Le persone tendono a chiudersi nel proprio ambito senza capire che la solitudine è un ulteriore male. Il nostro sforzo deve essere verso una società aperta, che affronti realisticamente i problemi. Non solo la situazione dei migranti, dei poveri, dei disabili, ma anche quella degli adolescenti e degli anziani non viene seriamente affrontata e si procede sull’onda dell’emotività”.

 Che cosa significa giustizia per don Albanesi: quale parabola evangelica la rappresenta meglio? “Prendersi cura: soprattutto dell’oppresso, del debole. Il concetto che Dio stesso associa a giustizia è la misericordia. La parabola migliore: il figliol prodigo, guardando soprattutto all’atteggiamento del padre che rispetta la libertà del figlio e si prende cura di lui e quando lo salva, è felice”.

 Papa Francesco ha detto che vorrebbe una “Chiesa povera per i poveri”: come va realizzato questo intento? “Il problema è che pur pregando e celebrando le liturgie la fede scarseggia. C’è una doppia anima attualmente, quella “bianca” che dice lode al Signore per i doni ricevuti e una “nera” che si domanda quanti interessi produce un certo conto in banca. C’è un rapporto diretto tra fede ed essenzialità: dobbiamo avere la possibilità di vivere dignitosamente, ma allo stesso tempo è necessario allargare i nostri orizzonti e guardare a chi ha realmente bisogno, non chiudendosi nella solitudine”.

Come interpreta il “beati i poveri” delle beatitudini evangeliche? ”Semplicemente il Signore dice ai poveri che non si dimenticherà di loro, non lascerà da soli gli orfani, gli stranieri. Perché se Dio che ha creato ogni cosa per amore significa che nulla sarà abbandonato”.

Quali sono le esperienze, nella sua biografia, fonti di maggiori soddisfazioni? “I miracoli compiuti, ma non quelli straordinari: quando un ragazzo tossico viene da te, lo inserisci in una comunità e infine lo vedi star bene e celebri il suo matrimonio, battezzi i suoi figli, è un piccolo miracolo, che non dipende da me, ma che riempie il cuore. Era una persona perduta, ed è stata ritrovata. Oppure vedere un disabile sposarsi e avere dei figli: sono gioie e soddisfazioni grandissime, umanamente parlando”.

(pubblicato su “L’Adige” del 19 novembre 2013) http://www.ladige.it/

Il sogno di Dio.

Alex Zanotelli
Alex Zanotelli

Il sogno è uscire dalla schiavitù della richezza, tornare ad ammirare la creazione come “prima parola di Dio”: per realizzarlo occorre un nuovo Esodo, verso la liberazione. Ne parla padre Alex Zanotelli nel suo ultimo libro in uscita nei prossimi giorni, intitolato “Il gran sogno di Dio” (Dissensi edizioni). Padre Alex non fa mai presentazioni ufficiali dei suoi testi, preferisce siano le idee a parlare, rifuggendo dal personalismo. Ha però accettato di parlare, dal Rione Sanità a Napoli, dove sta accanto agli ultimi,  delle novità e delle speranze che il nuovo pontefice sta proponendo.

Papa Francesco ha detto di volere una “chiesa povera per i poveri”, a parole sta dando grandi prospettive di cambiamento e di avvicinamento della Chiesa Cattolica alla gente, agli ultimi, agli emerginati e ai migranti: ma fino ad ora nella non sembra essere cambiato granché di concreto. Cosa, per Alex Zanotelli, dovrebbe essere messo in pratica?

“Occorre innaizitutto preciasare che Bergoglio  è anche lui un “convertito”, come Oscar Romero: inizialmente era conservatore. Poi venne ucciso perché difendeva la povera gente: ha modificato le sue idee con il tempo. Credo sia stata soprattutto l’esperienza dei bairros, a Buenos Aires, a fargli cambiare prospettiva. Ha spostato la sua maniera di guardare alla realtà e alla Chiesa”.

Alle parole seguano i fatti: come? “La predicazione di Francesco è molto bella, ha guadagnato la simpatia del mondo, con la sua semplicità. Finora però tutte le sue dichiarazioni sono rimaste dei “proclami”. Non abbiamo visto passaggi concreti: devono arrivare, anche se con grandi difficoltà viste le resistenze interne alla Chiesa. Si potrebbe indire un Concilio, o un Sinodo innanzitutto per ascoltare la Chiesa: in vista di riforme. Dobbiamo arrivare a rivedere le strutture ecclesiali. In questi secoli la Chiesa, oltre ad avere un grande potere temporale, ne ha avuto uno economico non indifferente. Occorre uscire da questi schemi centenari: può avvenire attraverso una riforma radicale”.

Può farci degli esempi: quale potrebbe essere la prima riforma? “La Chiesa non utilizzi la finanza come modalità per fare denaro: la comunità ecclesiale deve dare l’esempio di come utilizzare i soldi. In occasione della visita di Francesco ad Assisi gli ho rivolto questo appello: trasformiamo lo Ior (Istituto per le opere di religione, ndr) in una “banca etica”. Sarebbe un passaggio straordinario e darebbe un esempio incredibile! Una volta trasformata la banca della Chiesa, anche se in assoluto non dovrebbe esistere, ma  almeno sia “etica”, allora anche il Papa potrà spingere perché tutti gli istituti e ordini religiosi si domandino come utilizzano i loro soldi, in che banche li tengono, se questi istituti bancari applicano o meno dei criteri di giustizia ed equità. Un ripensamento globale del sistema finanziario che è in capo alla Chiesa deve essere il primo passo verso una Chiesa più povera”.

Rispetto all’organizzazione interna, alla gerarchia ecclesiastica, che interventi vedrebbe? “E’ il secondo aspetto:  la Chiesa deve rivedere la sua struttura interna, puntando alla semplificazione.  Ci si deve domandare se si fa veramente il bene dell’ecumene, del miliardo di cattolici sparsi in tutto il mondo. Abbiamo a che fare con dispendi di tutti i tipi, soprattutto di denaro: una semplificazione e quindi una riduzione dei costi è un esempio necessario da dare al mondo”.

Significa anche attenzione agli “stili di vita”? “Il papa ha già iniziato in questo senso a dire al suo clero d’essere d’esempio: ma ora deve diventare tassativo! Basta macchine lussuose o abiti di lusso”.

Ci sono delle riforme per cui sarebbe necessario un nuovo Concilio? “Rivedere il ruolo e la funzione del Vaticano: il Papa deve tornare ad essere il Vescovo di Roma. Segno dell’unità, di coordinamento e riferimento dei cattolici: ma per fare questo non è più necessario uno “Stato Vaticano”. Al momento dei patti lateranensi aveva un senso parlare di Stato, per garantire indipendenza al Papa. Ma oggi si possono trovare altre forme giuridiche. Guardiamo l’ONU: è un’organizzazione riconosciuta a livello mondiale, senza avere la condizione di nazione. Così anche il Vaticano: si libererebbe il papato da una ruolo, quello di capo di Stato, che non gli si addice e che gli impone di rendere omaggio a capi di stato, anche si trattasse di violenti dittatori”.

Dal basso, nelle parrocchie, anche in Trentino, cosa concretamente si può fare per adeguarsi a questo nuovo corso del Papa? “Conosco bene l’ambiente trentino: di questi tempi ci sono preti che devono gestire sei, anche sette parrocchie. Non vedo nascere dal basso delle “realtà di base”: se in ogni paesino ci fossero dei laici, anche tre quattro persone, che leggono il Vangelo, magari aiutati a volte dai preti, che prendano in mano , lentamente, la comunità cristiana. Se non nasce questo dal basso la crisi sarà imminente perché la mancanza di vocazioni ormai è cronica. Continuo a dirlo a Trento: rischiamo di trovarci senza preti, ma anche senza laici pronti a prendere in mano le comunità cristiane. Dovrebbe poi nascere un comitato in ogni parrocchia che si occupi di gestire i soldi, discuta su come  impegnarli, se tenerli in una banca e con quali criteri etici. Coinvolgere la gente in queste scelte: se continueranno a fare tutto i preti la gente non capirà nulla di queste realtà e della giustizia da mettere in pratica”.

 

(Intervista pubblicata su L’Adige del 18 novembre 2013).

L’amore al tempo di Facebook.

L’amore è intreccio di biografie, di storia, di vita, di emozioni reali, non di connessioni di rete o di fantasie. Stanno cambiando le nostre emozioni e perdiamo progressivamente la capacità di leggere e interpretare quelle degli altri mentre la rete aumenta il narcisismo e uccide le relazioni reali. Zygmunt Bauman nel suo intervento al Festival della filosofia svoltosi la scorsa settimana fra Modena, Carpi e Sassuolo, ha descritto una situazione inquietante, dove l’amore, quale forma di relazione tra esseri umani, assume caratteristiche nuove, conformandosi alle regole della rete e delle tecnologie oltre a rispondere ad “esigenze di mercato” e di profitto per pochi. Il titolo della relazione di Bauman di sabato 14 settembre a Carpi, in due affollatissime piazze (in una in diretta in inglese, nell’altra con maxischermo e traduzione in italiano), era “Legami fragili” e il sociologo polacco lo ha affrontato in duetto con Aleksandra Kania, professoressa di Sociologia presso l’Università di Varsavia. “Passiamo in media metà del nostro tempo libero interagendo con degli schermi – ha esordito Bauman – e ormai esistono due mondi paralleli: quello “on line” e quello “off-line”. Questi due mondi a volte vengono in contatto ma sta prevalendo quello “on-line” per la gestione delle nostre relazioni con gli altri. Non c’è bisogno infatti di molto tempo e impegno per entrare in contatto “on-line” con chiunque e a qualsiasi distanza. Mentre nel mondo “off-line” le relazioni richiedono impegno, a volte fatica, scelte e decisioni, in quello “on-line” ci sentiamo più liberi, vigono delle regole di “disimpegno” per cui è possibile staccare o riprendere una relazione con qualcuno senza troppi problemi. Tramite uno schermo e una tastiera siamo in grado di avere qualsiasi contatto e possiamo interromperlo in qualsiasi momento. “Nel mondo off-line invece la relazione significa impegno – ha detto Bauman – condizione necessaria per creare un rapporto con qualcuno è la continuità, trovare il tempo di frequentare l’altro, di starci accanto. Questo tipo di impegno non lo vogliamo più, cerchiamo di evitare la ripetitività, la noia: ci sentiamo invece liberi nelle relazioni in rete. Ma le esperienze con la tastiera hanno ridotto la nostra capacità di percepire le emozioni degli altri”. La rivoluzione dei social network ha prodotto questa nuova realtà nelle relazioni e nel vivere l’amore: sono più di un miliardo le persone iscritte a Facebook. “Il social network ci dà la sensazione di essere un gruppo, di stare assieme agli altri – ha spiegato il sociologo – ma non conosciamo i rischi della appartenza a questi gruppi e ci dimentichiamo che sono solo virtuali. Tutto diventa molto più semplice di fronte ad uno schermo e si sta verificando in questi tempi la più massiccia immigrazione: quella dal mondo off-line verso l’on-line, dove tutto appare più semplice e meno impegnativo”. Citando Jonathan Franzen, Bauman ha detto che “il fine ultimo della tecnologia consiste nel sostituire un mondo naturale indifferente ai nostri desideri fatto di sofferenze, uragani o cuori infranti, con uno spazio virtuale dove i nostri desideri trovano piena risposta. Il mondo on-line diventa un prolungamento del Sé. E’ una questione di comodità: un confort senza disagi. Quel che sembrava solo un sogno diventa realtà: vogliamo un mondo sempre presente, disponibile quando accendiamo il nostro schermo e plasmabile. Desiderio realizzato e soddisfazione immediata sono il risultato”. Ma che conseguenza ha tutto ciò per il nostro modo di vivere l’amore? “Tutti vorremmo continuare a sentirci pieni di passioni – ha proseguito Bauman – amando ciò che deve essere amato secondo i dettami della moda e del marketing. Siccome i nostri mercati rispondono ai desideri la tecnologia si adatta a produrre oggetti che corrispondono ai nostri ideali. Si genera così una relazione erotica: l’oggetto amato non chiede nulla e offre tutto, ci fa sentire onnipotenti e gli altri diventano solo oggetti di questo tipo di relazione. L’ oggetto tecnologico diventa esso stesso erotico. Passiamo ore di fronte a degli schermi senza parlare: non riusciamo più a capire come gli esseri umani possano essere più importanti di uno strumento elettronico! Il mondo off -line viene visitato sempre meno da chi si è addestrato nell’on-line. La disponibilità e il sacrificio di sé presuppongono il procedere lungo un sentiero non mappato che non vogliamo più percorrere: non accettiamo il rischio che l’Altro non risponda al nostro desiderio”. Ecco che la relazione amorosa cambia profondamente al tempo di Facebook e il narcisismo che si cela nel nostro profilo, ove presentiamo noi stessi al mondo, ha molto più spazio di espansione che non nell’amore reale. “Vogliamo pensare ad un opera d’arte quando trattiamo d’amore – ha spiegato il sociologo – una realtà profondamente umana e straordinaria assieme. Mi riferisco all’amore più profondo: occorre allontanarci dalla vita senza difficoltà proposta dal marketing dove non ci sono più decisioni e non siamo pronti ad incontrare l’amore vero, reale. Ci occorre una nuova formazione, disabituati come siamo al mondo off-line. Quando due persone si incontrano nella realtà sono prima di tutto le loro biografie ad intrecciarsi e sono necessari dei compromessi: non tutte le abitudini possono infatti essere conservate. Alcune vanno abbandonate, altre mediate ed è indispensabile rinunciare ad alcuni desideri. Non possiamo fare come nel mondo on-line dove è possibile gettare via il disubbidiente oggetto del nostro desiderio e sostituirlo con un altro senza difficoltà. Se nell’on-line i disaccordi sono dimostrazioni di incompatibilità che sfociano nella chiusura della connessione, nel mondo reale occorre versare qualche goccia di sangue per continuare l’intreccio delle biografie. L’amore reale è il vero antidoto al narcisismo”. Và riscoperto dunque secondo Bauman l’impegno reale nelle relazioni mettendo fine alla loro “versione informatica” nella quale si può essere sempre in forma e in ogni luogo come divinità onnipotenti. (Articolo apparso su L’Adige del 30 settembre 2013).zygmunt-bauman