Marx antidoto alla guerra tra poveri.

Cosa accomuna una miniera di carbone dell’800, la catena di montaggio del modello T della Ford  e Amazon? Sono modalità per accumulare profitto, sfruttando i lavoratori. Marx non solo aveva ragione, ma le sue teorie sono completamente confermate oggi, secondo Paolo Ferrero nel suo ultimo saggio “Marx oltre i luoghi comuni” (DeriveApprodi editore).

A Ferrero abbiamo chiesto cosa resta attuale di Marx filosofo che, attraverso la “vecchia” dialettica hegeliana, prevedeva un evolversi della storia in direzione del socialismo.  

“L’impianto di Marx sta in piedi completamente e si è drammaticamente verificato. Egli ritiene il modo di produzione capitalistico “rivoluzionario”. Il capitalismo è un grande produttore di ricchezza, ma per Marx la ricchezza va socializzata. In alternativa si produce una situazione di barbarie, più precisamente di “annichilimento di entrambe le classi in lotta”. Noi siamo esattamente a questo punto: Marx parla di oggi, del capitalismo maturo e di quell’enorme  ricchezza che invece di produrre il benessere dell’umanità ha generato diseguaglianze pazzesche, distruzione della natura, razzismi”.

Col cambiamento dei mezzi di produzione, non più solo fabbriche d’un tempo, la logica dello sfruttamento del lavoro è la medesima? “Sono cambiate le forme: la Shell si occupava di petrolio, la General Motor di automobili  oggi Amazon si occupa di vendite on line. Tutte e tre sono forme diverse di concentrazioni di sistemi produttivi, ma dal punto di vista dello scopo sono uguali: forme di massimizzazione del profitto privato. Marx non fece infatti analisi del singolo processo produttivo, ma del sistema di valorizzazione del capitale che è lo stesso oggi e ducento anni fa”.

Se dunque il capitalismo usa le stesse modalità, oggi però le classi sociali sono profondamente cambiate: non esiste più quel proletariato che avrebbe potuto fare la rivoluzione? “I capitalisti hanno sconfitto i lavoratori ed hanno vinto la lotta di classe. Una parte significativa della battaglia è ideologica: sono riusciti a far credere ai poveracci, mazzolati dai padroni, che i loro veri nemici sono altri poveracci, i migranti. Il nazionalismo ha sempre avuto questo effetto: nella prima guerra mondiale si è riusciti a mettere contadini e operai uni contro gli altri in nome della “Nazione”. I padroni sono sempre riusciti in maniera egregia a spostare le energie delle classi povere nelle direzione che desideravano. I servi dei poteri forti, come Matteo Salvini, danno una mano a costruire questa guerra tra i poveri, mentre i ricchi ridono alle spalle dei popoli. Così come fecero fascisti e nazisti che costruirono nazionalismo e razzismo: fu la base della guerra tra poveri”.

Anche la crisi economica e del lavoro oggi “muove le masse”: sembra però che la direzione sia sempre quella dell’individualismo, non della socializzazione e del comunismo.

“Tutto è nato a partire dai tempi di Craxi che tagliò i quattro punti di contingenza,  e poi avanti fino ai giorni nostri: hanno iniziato a ripetere che “c’è scarsità”, “non ce n’è per tutti”.  La gente ha iniziato a pensare che se non c’è lavoro per il propri figli tanto meno deve esserci per l’immigrato.La scarsità però è  una balla colossale. L’umanità non è mai stata così ricca. La crisi non è di scarsità, ma di sovrapproduzione. L’unica cosa che veramente non funziona è che la ricchezza e mal distribuita. Alcuni dati concreti: la ricchezza privata italiana è pari a ottomila miliardi di euro: quella tedesca è quattromila miliardi.  Più della metà della ricchezza privata italiana è in mano al 10% della popolazione. Questo significa che il 10% degli italiani più ricchi ha nelle sue mani più della ricchezza dell’intera popolazione tedesca. Ne possiamo dedurre che l’Italia è un Paese povero? No: è un posto dove i ricchi sono pieni di soldi da far schifo alle spalle di quel popolo che viene volutamente rincretinito, a reti unificate, da 35 anni da centrodestra e centrosinistra, con la storia che “non ci sono soldi”. Salvini è l’utile strumento che serve a fregare il popolo italiano e invece che indicare i veri responsabili della povertà e del disagio istiga i poveri contro i migranti.

Oggi la parola “cattocomunista” è usata in modo deteriore, quasi come un insulto. A suo avviso quanto c’è degli ideali cristiani in Marx? “ Per Marx il centro dell’esistenza è la possibilità di condurre una vita degna di essere vissuta. La lotta per superare il capitalismo significa sforzo per usare la ricchezza affinché ogni uomo ed ogni donna possa realizzarsi. Questo è uno degli obiettivi dichiarati anche da Papa Francesco oggi: Marx ci arriva con il materialismo, non con lo spiritualismo religioso”.

Dunque “il senso della vita” per Marx non sta nell’accumulare,  ma nel condividere? “Solo un idiota pensa che riempirsi le tasche di soldi possa essere il suo scopo: i soldi e la ricchezza di fronte alla morte non possono nulla. Cosa se ne fa il ricco della sua abbondanza in punto di morte? Marx pone un problema: come fare perché tutti possano vivere decentemente per crescere come esseri umani? Il socialismo non è una caserma,  ma l’aver risolto i nodi concreti della sicurezza sociale per aprire agli individui la possibilità di sviluppare se stessi”.

L’intelligenza senza ormoni.

All’intelligenza artificiale serve  un “cuore” oppure possiamo affidarci alle sue decisioni, precise e rapide, senza farci altre domande? L’intelligenza artificiale si sostituisce agli esseri umani per liberarli dal lavoro manuale e renderli più felici o per farne dei consumatori passivi di prodotti e servizi a beneficio di quei pochi che possiedono e sfruttano il know how tecnologico? Se ne parlerà a Trento mercoledì 21 novembre alle ore 20.30 presso la Sala della Cooperazione (Via Segantini) in un convegno organizzato dalla Fondazione Bruno Kessler dal titolo “Angeli e demoni dell’intelligenza artificiale”. Interverranno vari esperti:  Piero Poccianti, Presidente Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, Francois Pachet, direttore di Spotify Creator Technology Research Lab, Francesco Profumo, presidente FBK, Michela Milano, vice-presidente dell’Associazione Europea per l’Intelligenza Artificiale e Carlo Casonato, vice-presidente del Comitato Etico per la sperimentazione con l’essere umano (Università di Trento). A Casonato abbiamo chiesto quale sia la questione più importante attorno agli sviluppi dell’intelligenza artificiale.

“Certamente il problema del futuro del lavoro umano è rilevante, ma la questione cruciale riguarda le macchine che in futuro avranno potenzialità di decisione autonoma. La prima auto a guida autonoma inizierà ad essere venduta negli USA dal prossimo dicembre: quando quest’auto si troverà di fronte alla scelta se investire un pedone, salvando i suoi passeggeri o schivare il pedone andando a schiantarsi contro un muro, mettendo a rischio gli uomini nel suo abitacolo, cosa deciderà? Sulla base di quali criteri “etici”? Il tema centrale  dunque è quello di una tecnologia innovativa che permetterà di prendere decisioni autonome in vari ambiti: ci sta bene perdere, come uomini, il ruole esclusivo di decisione? Ci sono strumenti in campo medico che sono in grado di fare diagnosi e indicare prognosi al posto dei medici: è questo il nostro futuro? Siamo pronti a delegare buona parte dei nostri dilemmi a macchine che attraverso l’autoapprendimento non potremo più controllare?”

Dovremmo dunque capire cosa significa “intelligenza”? Può un apparato tecnologico sviluppare quella caratteristica intelligenza che chiamiamo “emotiva”, la capacità cioè di non usare solo la razionalità calcolante, ma anche gli aspetti affettivi?

“Molti dicono che alle macchine mancano gli ormoni e quindi saranno sempre inferiori all’essere umano.  La sfida è decidere se lasciare la macchina autoapprendente a svolgere le sue funzioni al posto nostro o meno. La macchina ha veramente capacità di autonomia decisionale oppure si tratta di semplice “automazione”? L’autonomia deve rimanere in mano all’essere umano, con i suoi aspetti emotivi, ponendo dei limiti alla tecnologia in vista di una centralità della figura umana nella società del futuro. Non siamo pronti per una sostituzione dell’essere umano”.

Dunque tra angeli e demoni qual’è la direzione che prenderà l’intelligenza artificiale? “Siamo noi che ci comporteremo da angeli o da demoni. La possibilità di regolare le macchine ci costringe a riflettere su noi stessi e su che ruolo vogliamo mantenere. L’intelligenza artificiale è come uno specchio: ci costringe a ripensare l’intelligenza umana”.

A livello globale però sembra che lo sviluppo delle tecnologie non abbia come punto di riferimento l’etica, ma piuttosto l’economia.

“Dobbiamo iniziare a parlare di questi temi, e il convegno di FBK serve  anche a questo. Quando ci sono interessi economici è difficile che etica e diritto possano dettare legge. Però esistono tutta una serie di azioni, comitati etici, luoghi e occasioni in  cui si sente il bisogno di ragionare su queste cose. Anche i ricercatori spesso si autoregolamentano: quando è apparsa l’ingegneria genetica sono stati i ricercatori a darsi dei limiti. Una macchina, con intelligenza artificiale,  può oggi comporre musica, fare arte, scrivere un articolo di giornale. Ma al momento gli mancano gli ormoni e la possibilità di soffrire o gioire: questo è il più grande limite che la tecnica non può superare se l’uomo stesso non glielo permetterà”.

(Pubblicato su L’Adige del 21 novembre 2018)

 

Come se non ci fosse un domani….

 

 

La “curva a mazza da hockey”  Michael Mann l’ha iniziata a usare alla fine degli anni ‘90, per cercare di svegliare i dormienti, o i negazionisti, che continuano spudoratamente a usare i propri suv (magari diesel, euro 5, le cui emissioni sono in media due etti , abbondanti, di CO2 ogni km percorso) come se non ci fosse un domani o alternative di mobilità, a mangiare cibi per la cui produzione si immettono nell’atmosfera quantità indecenti di anidride carbonica (per produrre un kg di carne di manzo si immettono in atmosfera 40 kg di CO2), che d’estate fanno andare i loro condizionatori a manetta  (circa 340kg di CO2 finiscono nell’aria per rinfrescare 20mq per quattro mesi, sei ore al giorno) e d’inverno riscaldano le loro case come saune (parliamo di circa 2500kg di CO2 per scaldare, col gas metano, in un inverno un appartamento di 50mq, ma se ci accontentiamo di 20 gradi in casa. Ogni grado in più pesa circa 100kg di CO2 ). Un crescendo di anidride carbonica, alla faccia delle evidenze scientifiche del global warming, che sta rendendo inabitabile il pianeta, provocando migrazioni e disastri ambientali. Michael Mann, (statunitense, pluripremiato scienziato  del clima, fisico e climatologo, il primo ad aver pubblicato una precisa ricostruzione della temperatura media nei secoli passati) è stato a Trento lunedì 18 giugno   al Muse, anche per presentare il suo libro scritto a quattro mani con Tom Toles (giornalista del Washington Post) “La terra brucia” (Hoepli). Dialogheranno con lui Christian Casarotto, glaciologo del Muse e Roberto Barbiero, climatologo dell’Osservatorio Trentino sul clima.

Mann destò scalpore con la pubblicazione dei suoi dati e con l’impennata delle temperatura attorno al 1850 (prima era praticamente piatta) quando iniziò una industrializzazione seguita da un indiscriminato uso di combustibili fossili. Quella curva sul grafico è appunto la “mazza da hockey”, per la quale ha subito numerosi attacchi dai negazionisti.

Al climatologo abbiamo domandato se c’è evidenza dai dati che solo quando smetteremo di bruciare combustibili fossili saremo in grado di salvare il pianeta.

“Il tasso di riscaldamento senza precedenti del secolo scorso può essere spiegato solo dall’aumento delle concentrazioni di gas serra. La mia ricerca mostra che c’è ancora tempo per ridurre le nostre emissioni di carbonio in misura sufficiente per evitare i cambiamenti più pericolosi e potenzialmente irreversibili del clima”.

Quali aspetti della sua ricerca ritiene più rigorosi e importanti?

“Sto indagando su vari aspetti del cambiamento climatico. La ricerca che ritengo più importante è il mio lavoro paleoclimatico, e in particolare quello su  la curva “hockey”. Con i miei co-autori la pubblicammo due decenni fa (anche se ancora è poco nota, ndr): dimostra quanto il riscaldamento moderno sia senza precedenti. Tuttavia, svolgo anche ricerche su vari aspetti della scienza del clima, tra cui ricerche sulla variabilità del clima naturale, previsione del clima e, più recentemente, sugli impatti dei cambiamenti climatici su eventi meteorologici estremi”.

Quindi a suo avviso siamo ancora a tempo per tornare indietro con le temperature o abbiamo superato il “punto di non ritorno”?

“La nostra ricerca mostra che possiamo limitare il riscaldamento a meno di 2 gradi rispetto al preindustriale. Ma già solo  mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2 gradi richiederà un’azione concertata che vada ben oltre, ad esempio, agli impegni assunti dalle nazioni del mondo, tra cui l’Italia, nell’accordo di Parigi di diversi anni fa. Occorre fare molto di più”.

 

Negli Stati Uniti lei è stato molto criticato dai negazionisti del riscaldamento globale: le cose stanno cambiando oggi, sotto l’amministrazione Trump?

“Come spiego nel  mio libro “The Madhouse Effect” stiamo affrontiamo una sfida monumentale negli Stati Uniti proprio adesso, dove il nostro intero governo, il nostro presidente e il congresso,  sono controllati dai politici negazionisti del “global warming”. Ciò significa che i progressi possono e devono arrivare a livello locale e statale, con Stati come la California e il governatore Jerry Brown, un mio amico, che svolge un ruolo chiave nella direzione di una nuova consapevolezza del problema clima. Il prossimo novembre il popolo americano ha la possibilità di cambiare direzione rifiutando il Trumpismo ed eleggendo politici che agiranno sul clima. Una parte importante del mio messaggio in questi giorni in cui parlo con il pubblico americano è basato proprio sull’importanza del voto nelle prossime elezioni. È la nostra migliore speranza per superare l’ostacolo  Donald Trump”.

 

Cosa deve fare la comunità scientifica per far crescere la consapevolezza del problema clima?

“È fondamentale che la comunità scientifica faccia il possibile per comunicare al pubblico in termini inequivoci che il cambiamento climatico è reale, causato dall’uomo e una grande minaccia se non agiamo. Dobbiamo anche comunicare, chiaramente, che c’è ancora tempo per agire. E con la transizione dai combustibili fossili verso le energie rinnovabili, possiamo sia raggiungere la prosperità economica sia sostenere il nostro ambiente e il nostro pianeta”.

 

Una persona qualsiasi invece che può fare per contribuire a invertire la rotta del riscaldamento?

“Ci sono cose che possiamo fare nella nostra vita quotidiana per ridurre la nostra “carbon footprint” (impronta di carbonio): usando l’energia rinnovabile, risparmiando energia e risorse, pedalando invece di guidare. E in molti casi queste sono azioni “no regrets” (senza rimpianti): ci rendono più sani, ci fanno risparmiare denaro. Ma per raggiungere la riduzione del carbonio ed evitare il catastrofico riscaldamento planetario, abbiamo bisogno azione al più alto livello. Ciò significa fare pressione sui nostri politici, sia qui in Italia che negli Stati Uniti. E smettere di votare i politici che si rifiutano di farlo!”

 

RE-VELATION

Ri-velare. E’ il verbo più adatto per quel copricapo leggero sulla testa delle donne occidentali fino al secolo scorso. Oggi diventato simbolo di appartenenza sui capelli delle donne islamiche, arabe, indiane.  Il velo vela e svela. Ri-vela nel senso che demistifica l’universo di significati che l’uomo, nel suo maschi

lismo, carica sul quel tessuto più o meno leggero. Allo stesso tempo manifesta l’indole seducente del nascondere: quel che è prezioso va scoperto.

 

Sul velo Maria Grazia Muzzarelli, professore associato di “Storia medievale” presso l’Università di Bologna, ha scritto un saggio, A capo coperto. Storie di donne e di veli
(Il Mulino). Ne ha parlato l’ 8 marzo, Festa della donna, (ore 17.30) al Museo diocesano di Trento (Piazza Duomo, 18)  in un incontro dal titolo: “Il velo: un’eredità, una permanenza, un paradosso, un oggetto che fa discutere”. Al diocesano si tiene in questi giorni e fino al 30 aprile la mostra” RE-VELATION”, a cura di Clelia Belgrado e Domenica Primerano. Si tratta di una serie fotografica di Carla Iacono sul tema della manipolazione delle differenze culturali, a partire dalla situazione delle donne musulmane immigrate in Europa.

 

Alla Muzzarelli abbiamo domandato cosa sta “sotto il velo”, che oggi ci fa paura sulle teste delle donne immigrate.

“Anziché  considerarlo come oggetto di timore bisognerebbe guardarne la storia. Il velo  è un oggetto “in mezzo a noi, ma anche parte rilevante della cultura mediterranea.

Credo sia necessario disincrostare questo il simbolo, per far emergere bellezza e anche seduzione. Occorre eliminare i significati più severi e cercare di considerarlo come un oggetto per veicolare messaggi diversi,  non necessariamente per suscitare timore. Nella nostra cultura non c’è più l’uso di stare regolarmente a capo coperto tra le donne: ma è una trazione mediterranea e addirittura il mondo cristiano ha utilizzato il velo come pubblicità delle virtù delle donne. Basti guardare gli ordini monastici femminili. Una esperienza che è stata presente fino alla metà circa del novecento”.

 

Cosa a suo avviso ha “tolto il velo” alle donne occidentali?

“La moda: è una delle tesi contenute nel mio saggio.  Inizialmente ha permesso al velo di diventare un elemento ornamentale, seducente come la famosa “veletta” sugli occhi delle donne del XIX secolo. E’ uno dei paradossi più grandi: quel che doveva essere un elemento di sottomissione ai dettami della religione e della cultura maschilista è diventata occasione per cambiare lo sguardo sulle donne”.

 

Oggi sono tante le giovani donne, islamiche o comunque di cultura araba, che portano il velo a scuola come in ufficio, in mezzo a noi. Perché ci fanno paura?

 

“Se il velo è una scelta allora vuol dire che le scelte non sono mai fatte in un mondo iperuranico, sono legate alla realtà che ogni singola donna vive. Di per sé il velo non è un elemento di mancata emancipazione: può essere invece l’affermazione della propria identità. Se ad una ragazza giovane fa piacere portare il velo per sottolineare la propria appartenenza che problemi abbiamo noi di culture diverse ad accettarla?   Trovo inaccettabile invece che diventi un blocco ad una vita di relazione. Il velo non è imposto dal Corano: ci sono solo alcune sure che vi fanno riferimento e non sono prescrittive”.

 

Il messaggi erotici, sensuali, passano quasi esclusivamente dal corpo delle donne: è uno dei punti chiave per leggere la tradizione del velo?

 

“Recentemente sono stata in Tunisia per alcune conferenze: delle ragazze del luogo mi hanno avvicinato chiedendomi come valutavo il fatto che per  vendere un’automobile in occidente si usa l’immagine di una donna nuda. “Questo è vero abuso del corpo delle donne”, mi hanno detto. Ho dovuto dar loro ragione. La mercificazione del corpo femminile a fine pubblicitari è oggettivamente un elemento che immiserisce e annichilisce le donne. Non è solo responsabilità degli uomini, ma anche di quelle donne che si prestano a questo “gioco delle parti”. Posso solo dire che il velo è una forma di copertura che ha in sé dell’ambiguità.

Copre e scopre allo stesso tempo. Vorrebbe distogliere gli sguardi in realtà li attrae. Credo che sia uno degli aspetti più belli e sensuali della relazione erotica. Vedere e non vedere, la lucentezza, l’attrazione, la leggerezza al posto di una esplicita esposizione “senza veli”.

 

Concludendo lo chador va bene anche a scuola, anche in ufficio?

 

“A patto che sia un elemento di identità, di appartenenza. Ma non diventi la punta dell’iceberg della sottomissione femminile. Il velo può essere un elemento di grazia, una forma di fedeltà ad una tradizione assolutamente legittima in tutti gli ambienti. Con dei limiti certamente: devo poter capire chi ho davanti. Ci sono delle regole che la nostra civiltà occidentale impone: credo tutte legittime. Ma il velo non è un oggetto a cui attribuire necessariamente significati negativi. Anche perché è parte della nostra storia. Non solo il velo è “fra noi” in testa a donne di altre fedi o tradizioni,  ma è nelle pieghe della nostra storia recente. Le nostre nonne hanno continuato a coprirsi il capo. Mia nonna non usciva di casa senza un cappello, e lo teneva anche in casa di amiche. Questa non è una storia che risale a chissà quanti secoli or sono. E’ la nostra storia. Dalla nostra latitudine la moda ha fatto cadere l’uso di coprirsi il capo. Allo stesso tempo è aumentato lo spazio di consapevolezza delle donne: questo è il vero valore.