Paura della complessità?

Sopravvalutiamo la semplicità del tempo antico: abbiamo nostalgia di un passato che ci sembrava semplice solo perché non era ancora messa a fuoco la complessità. La vera  novità di oggi è l’interdipendenza e lo sviluppo tecnologico che hanno vinto vincoli e confini. Ne ha ha parlato Chiara Saraceno nella prima delle tre serata della Cattedra del Confronto, (appuntamento annuale offerto dall’Ufficio diocesano cultura e università di Trento). In dialogo con la sociologa e filosofa, autrice di importanti studi sulla famiglia e la condizione femminile, attorno al tema della “complessità”  c’era Luciano Manicardi, attuale priore della Comunità monastica di Bose.  

Alla Saraceno abbiamo chiesto cosa significhi che oggi c’è più complessità. 

 “Forse, più semplicemente, adesso siamo più consapevoli di un tempo delle varie dimensioni delle nostre relazioni con gli altri e con la società. Dalla dimensione familiare a quella globale ci sono vari gradi di complessità. Quindi la questione non è se oggettivamente viviamo in contesto di maggiore complessità, quanto il fatto che ne abbiamo maggiore consapevolezza. Il Voltaire delle “Lettere Persiane”  si domandava: come avrebbe reagito un persiano a Parigi? Tutto gli sarebbe apparso strano e complesso. Oggi noi siamo quel persiano, non solo abbiamo tanti persiani tra di noi. Non possiamo più dire che non esista la complessità e di conseguenza non ci è dato rifugiarci in semplificazioni”.

Una delle paure della complessità nasce dalla sensazione di “dipendere” da fattori che non possiamo controllare? “Un tempo esistevano interdipendenze molto forti, vincolanti: il ceto a cui si apparteneva, la famiglia. Oggi siamo coscienti di dipendere quasi direttamente da quello che dice Bruxelles, dalle decisioni di Trump o Putin. E’ più chiaro che la rete in cui siamo è molto vasta: noi siamo solo un piccolissimo nodo”. 

E’ cambiata, sociologicamente parlando, la percezione degli altri? “La coscienza dell’interdipendenza ci sta cambiando. Vorremmo ignorare a volte il fatto di dipendere dagli altri: ma siamo di fronte al fatto che quel che gli altri pensano di noi, come si comportano con noi, può avere un’influenza enorme sulla nostra vita”. 

Aspetti positivi di questa interconnessione? “Il dipendere dalle tecnologie e l’uso dei social ha di molto aumentato la capacità di essere informati. Superando i nostri limiti. Dall’altra parte siamo maggiormente esposti al rischio di un’informazione falsata e manipolatoria. Oppure di una diffusione delle nostre immagini e informazioni che non desideriamo. Non siamo dunque solo vittime della complessità: credo che dovremmo sviluppare maggiore capacità di autocontrollo, autolimitazione. Un mondo complesso ci impone di avere un “indirizzo intelligente” da raggiungere. Necessariamente siamo sollecitati ad essere consapevoli di ciò che siamo e che facciamo. Anche a livello politico: non possiamo continuare a pensare che si possa delegare, ma dovremmo essere in grado di prenderci più direttamente delle responsabilità”.

Tornando al persiano che è in noi e accanto a noi: come è cambiato il rapporto con le diversità? “Il diverso da noi c’è sempre stato: era segregato. Nei manicomi, ad esempio. C’erano ruoli di genere molto rigidi e la semplificazione aveva costi altissimi ma poteva essere rassicurante. Oggi invece con fatica la diversità cerchiamo di affrontarla, senza immediatamente definire una graduatoria che stabilisca la normalità e vari gradi di diversità. Un’operazione faticosa, ma alla lunga arricchente. Potremmo scoprire la nostra di diversità”.

Accanto a lei a discutere di complessità ci sarà un monaco: a suo avviso la religione si presta di più alle semplificazioni o è in grado di affrontare la complessità? “Dipende dalla religione. Ma anche da come viene vissuta. Le religioni sono state sia strumento di rottura rispetto ad una spiegazione del mondo, introducendo complessità, ma anche strumenti di semplificazione. Per diverse religioni la spiegazione del mondo è una e abbastanza rigida. Le religioni possono offrire rassicurazioni, ma potrebbero instillare anche dubbi e aprire dimensioni del sé inesplorate e più complesse. Non darei dunque una spiegazione univoca su quel che possono fare le religioni”. 

Uno dei settori sociali dove la complessità sembra aver fatto più breccia è la famiglia: esiste ancora una definizione semplice di famiglia? “Non è mai stata un luogo semplice. Si intrecciano ruoli, generi, funzioni, generazioni. Una costruzione per cui oggi non esiste più una definizione univoca. Non c’è mai stata in realtà. Nel tempo e da una società all’altra sono stati attribuiti valori diversi. L’esperienza contemporanea ci fa vedere che la diversità è nella nostra stessa società: si chiede il diritto di essere famiglia da parte di soggetti in passato esclusi da tale possibilità. Stili di vita che chiedono legittimità, anche se ancora qualcuno non vorrebbe concederla loro. Non sto pensando solo alle famiglie composte da persone omosessuali: già il divorzio ha prodotto una grande rottura. L’idea che ci si potesse risposare, che i figli potessero avere nuove figure genitoriali in nuovi assetti familiari, già tutto ciò ha rotto i confini della famiglia tradizionale. Ora le tecniche di riproduzione assistita, prima ancora di arrivare alla gestazione per altri, hanno introdotto una fortissima novità che va ripensata. Cosa vuol dire fare intenzionalmente dei figli anche se non dal punto di vista biologico? Un figlio può essere intenzionalmente e non biologicamente di una padre o di una madre? La generazione è diventata molto più complessa”. 

Cosa le suggerisce la recente sentenza di Trento in merito al riconoscimento della secondo genitore maschio di un bambino nato con tecniche artificiali? Sembrano essere i giudici in Italia a decidere le politiche familiari e non la politica. “Da sempre non è la natura a fare la famiglia ma le norme: religiose o giuridiche. E’ la giurisprudenza a innovare, evidenziando dei comportamenti che richiedono di essere riconosciuti e normati. La sentenza di Trento è una attuazione della dichiarazione internazionale dei diritti del bambino di essere collocato in una filiazione.  Mette in luce la complessità dell’esistenza di sistemi giuridici e norme diverse in paesi diversi, ma ormai collegati tra loro nella globalizzazione”. 

La complessità è “donna”? “Le donne hanno maggiormente l’esperienza della complessità: un’immagine del femminismo degli anni ‘70 era quella della donna giocoliere, capace di tenere in equilibrio tanti piatti senza farli rompere. L’esperienza della complessità è molto femminile, nei ruoli familiari, nel lavoro, nella società, anche se non teorizzata ma più vissuta”. 

Ad una maestra di scuola elementare che deve attrezzare i propri bambini ad affrontare questo mondo complesso cosa suggerirebbe? “Di insegnare loro ad essere individui, con la loro libertà e differenza, chiamati a cooperare con  altri individui”. 

Articolo pubblicato sul quotidiano L’Adige. 

Immigrazione zero = 55.000 insegnanti italiani senza posto di lavoro.

Nell’ipotesi “immigrazione zero” fra dieci anni in Italia ci potrebbero essere  55.000 posti di lavoro in meno, solo nel settore dell’istruzione. Le scuole infatti si stanno progressivamente svuotando. E’ una delle cifre che è stata oggetto di riflessione nella lezione-concerto pensata dal sociologo Stefano Allievi per il primo appuntamento dell’agosto degasperiano (organizzato dalla Fondazione Trentina A. De Gasperi) lo scorso 26 luglio. Il titolo dello spettacolo è “Spaesati: del migrare e dei migranti” e ad Allievi (docente di sociologia all’università di Padova, da un trentennio studioso dei fenomeni migratori) abbiamo chiesto se lo spaesamento  è riferito sia ai migranti che a noi. “Certamente ad entrambi: da quando mi occupo di migranti ho visto cambiare sia le migrazioni che gli atteggiamenti degli italiani. Ultimamente cerco di rispondere, in maniera semplice, alle preoccupazioni di un pubblico generico, non schierato. Lo spettacolo è un tentativo di spiegare il fenomeno delle migrazioni in senso storico. Per farlo ho chiesto la collaborazione della cantautrice Erica Boschiero e del musicista e compositore Sergio Marchesini: entrambi hanno un interessante esperienza sui temi dell’immigrazione. La prima riflessione che faremo sarà sulla nostra mobilità: c’è chi parte per lavoro, ma anche per amore, per turismo, per cercare una vita migliore in tutti i sensi. La mobilità sta ridiventando una caratteristica della contemporaneità: lo scorso anno ci sono stati un miliardo e trecento milioni di voli transnazionali. Non mancheremo  di raccontare le migrazioni del passato, attraverso canzoni come “Mamma mia dammi cento lire” che forse non tutti sanno si tratta della storia di un tragico naufragio”. 

In merito agli  effetti delle migrazioni lei spesso parla di “identità reattive”: di cosa si tratta? “L’identità reattiva è quella di chi riscopre la propria identità perché ci sono degli “altri”. Qualcuno diventa cristiano perché ci sono i musulmani: prima non se n’era mai accorto! Ma anche i musulmani riscoprono di esserlo quando arrivano in Europa. Si tratta di un fenomeno tipico di questa epoca di mobilità: sentendosi “spaesati” si cercano sicurezze o un senso di appartenenza quasi tribale. Si riscoprono tradizioni dimenticate che siano funzionali al proprio senso di appartenenza ad un gruppo”. 

A suo avviso questo accade perché le nostre identità sono “deboli”? “Non credo: dobbiamo superare la retorica del “noi e loro”. Tendiamo infatti a mitizzare gli altri inventando delle identità forti che non esistono. La realtà è che tutti quanti abbiamo delle fragilità maggiori dovute alle maggiori possibilità di incontro con le diversità. Entriamo in contatto con tante visioni del  mondo, viaggiando fisicamente o virtualmente, navigando in internet: ecco il perché dello spaesamento generale”. 

Recentemente la giunta provinciale del Trentino a guida leghista  ha tagliato i fondi alla solidarietà internazionale: meno 5 milioni di euro equivalenti allo 0,24% del bilancio, nonostante uno degli slogan leghisti sia “aiutiamoli a casa loro”. Come valuta questa scelta? “L’Europa in generale fa molto poco per la solidarietà internazionale: il Trentino era molto avanti con lo 0,24%. Ha fatto un passo indietro che lo mette semplicemente in linea con il governo nazionale che è tragicamente indietro dal punto di vista della solidarietà. In ogni caso dire “aiutiamoli a casa loro” è mera retorica: non esiste un solo progetto di legge che chieda di aumentare i fondi per lo sviluppo. Anche quelli che gridano  “accogliamoli tutti” fanno retorica perché purtroppo in Italia non si cercano dei risultati concreti in politica ma si lanciano slogan per ottenere consensi”. 

Parliamo di numeri: la demografia cosa ci dice a proposito delle migrazioni? “Qualcuno non sta prendendo atto del fatto che gli italiani non fanno più figli. L’allarme sulla demografia è l’argomento di cui dovremmo parlare: ci sono a proposito una serie di dati terrificanti che tutti capiscono”. 

Ci faccia qualche esempio. 

“Da qui a dieci anni un italiano su dieci sarà un anziano non autosufficiente. Già questo è un dato terribile. Altro dato oggettivo: nella ipotesi immigrazione zero tra  10 anni perderemo 55.000 posti di lavoro solo tra gli insegnanti. Ma la tragedia è complessiva. l’Italia è un Paese di vecchi con l’età media più alta d’Europa: 44 anni. Non voler vedere queste cifre  vuol dire far del male alle nuove generazioni. Possiamo affrontare il problema con varie modalità, non c’è solo l’immigrazione per avere più bambini in circolazione. Nello spettacolo vorremmo proporre una riflessione sui fenomeni oggettivi senza schierarci da una parte o dall’altra, ma alla ricerca di una risposta all’altezza del problema”. 

Beatitudine

“Uomo, se vuoi esser saggio e vuoi conoscere Dio e te, devi prima bruciare la brama mondana in te”.
Con queste parole di Angelus Silesius (nome che nel 1653 Johannes Scheffler scelse dopo essersi convertito al cattolicesimo dal luteranesimo) Francesco Roat, saggista e critico letterario trentino conclude il suo ultimo saggio dal titolo “Beatitudine” (editrice L’Ancora) appena pubblicato.
Roat ha ripercorso le tappe del mistico Silesius verso la stesura di un’opera “Il pellegrino cherubico” universalmente riconosciuta come sintesi del misticismo cristiano. Johannes Scheffler è oggi un “assai poco celebre mistico, poeta, filosofo e medico tedesco del XVII secolo”, scrive Roat. Il suo merito: tradurre in poesia la mistica cristiana, poco intellegibile ai profani di teologia e religione. Meister Eckhardt, il più famoso domenicano, portò la tradizione della mistica cristiana nella filosofia medievale.
Nel ‘600, secolo di Cartesio e delle “matematiche verità” Angelus Silesius fu una voce controcorrente, riproponendo quella dimensione mistica in cui Dio non solo non può essere conosciuto in maniera razionale, ma risulta sconveniente quasi pronunciare quel nome composto di tre lettere. Di lui si può dire solo “ciò che non è”, una teologia negativa, in cui, oltre il nulla, si trova, con infinita umiltà, Dio. Nel suo saggio anche Roat va controcorrente e ci permette l’ascolto di una “visione del mondo”, quella mistica
che appare quasi totalmente dispersa nella nostra epoca. Mette in luce “l’uomo spirituale” d’altri tempi, l’angelico Silesius, per parlarci di oggi e di, (come scrive Marcello Farina nella prefazione al saggio) “una vista spirituale che è soprattutto”esperienza”, non dottrina. Ricerca di “pienezza”, non selezione di parte. “Interiorità abbracciante”, non esteriorità che separa.

Marx antidoto alla guerra tra poveri.

Cosa accomuna una miniera di carbone dell’800, la catena di montaggio del modello T della Ford  e Amazon? Sono modalità per accumulare profitto, sfruttando i lavoratori. Marx non solo aveva ragione, ma le sue teorie sono completamente confermate oggi, secondo Paolo Ferrero nel suo ultimo saggio “Marx oltre i luoghi comuni” (DeriveApprodi editore).

A Ferrero abbiamo chiesto cosa resta attuale di Marx filosofo che, attraverso la “vecchia” dialettica hegeliana, prevedeva un evolversi della storia in direzione del socialismo.  

“L’impianto di Marx sta in piedi completamente e si è drammaticamente verificato. Egli ritiene il modo di produzione capitalistico “rivoluzionario”. Il capitalismo è un grande produttore di ricchezza, ma per Marx la ricchezza va socializzata. In alternativa si produce una situazione di barbarie, più precisamente di “annichilimento di entrambe le classi in lotta”. Noi siamo esattamente a questo punto: Marx parla di oggi, del capitalismo maturo e di quell’enorme  ricchezza che invece di produrre il benessere dell’umanità ha generato diseguaglianze pazzesche, distruzione della natura, razzismi”.

Col cambiamento dei mezzi di produzione, non più solo fabbriche d’un tempo, la logica dello sfruttamento del lavoro è la medesima? “Sono cambiate le forme: la Shell si occupava di petrolio, la General Motor di automobili  oggi Amazon si occupa di vendite on line. Tutte e tre sono forme diverse di concentrazioni di sistemi produttivi, ma dal punto di vista dello scopo sono uguali: forme di massimizzazione del profitto privato. Marx non fece infatti analisi del singolo processo produttivo, ma del sistema di valorizzazione del capitale che è lo stesso oggi e ducento anni fa”.

Se dunque il capitalismo usa le stesse modalità, oggi però le classi sociali sono profondamente cambiate: non esiste più quel proletariato che avrebbe potuto fare la rivoluzione? “I capitalisti hanno sconfitto i lavoratori ed hanno vinto la lotta di classe. Una parte significativa della battaglia è ideologica: sono riusciti a far credere ai poveracci, mazzolati dai padroni, che i loro veri nemici sono altri poveracci, i migranti. Il nazionalismo ha sempre avuto questo effetto: nella prima guerra mondiale si è riusciti a mettere contadini e operai uni contro gli altri in nome della “Nazione”. I padroni sono sempre riusciti in maniera egregia a spostare le energie delle classi povere nelle direzione che desideravano. I servi dei poteri forti, come Matteo Salvini, danno una mano a costruire questa guerra tra i poveri, mentre i ricchi ridono alle spalle dei popoli. Così come fecero fascisti e nazisti che costruirono nazionalismo e razzismo: fu la base della guerra tra poveri”.

Anche la crisi economica e del lavoro oggi “muove le masse”: sembra però che la direzione sia sempre quella dell’individualismo, non della socializzazione e del comunismo.

“Tutto è nato a partire dai tempi di Craxi che tagliò i quattro punti di contingenza,  e poi avanti fino ai giorni nostri: hanno iniziato a ripetere che “c’è scarsità”, “non ce n’è per tutti”.  La gente ha iniziato a pensare che se non c’è lavoro per il propri figli tanto meno deve esserci per l’immigrato.La scarsità però è  una balla colossale. L’umanità non è mai stata così ricca. La crisi non è di scarsità, ma di sovrapproduzione. L’unica cosa che veramente non funziona è che la ricchezza e mal distribuita. Alcuni dati concreti: la ricchezza privata italiana è pari a ottomila miliardi di euro: quella tedesca è quattromila miliardi.  Più della metà della ricchezza privata italiana è in mano al 10% della popolazione. Questo significa che il 10% degli italiani più ricchi ha nelle sue mani più della ricchezza dell’intera popolazione tedesca. Ne possiamo dedurre che l’Italia è un Paese povero? No: è un posto dove i ricchi sono pieni di soldi da far schifo alle spalle di quel popolo che viene volutamente rincretinito, a reti unificate, da 35 anni da centrodestra e centrosinistra, con la storia che “non ci sono soldi”. Salvini è l’utile strumento che serve a fregare il popolo italiano e invece che indicare i veri responsabili della povertà e del disagio istiga i poveri contro i migranti.

Oggi la parola “cattocomunista” è usata in modo deteriore, quasi come un insulto. A suo avviso quanto c’è degli ideali cristiani in Marx? “ Per Marx il centro dell’esistenza è la possibilità di condurre una vita degna di essere vissuta. La lotta per superare il capitalismo significa sforzo per usare la ricchezza affinché ogni uomo ed ogni donna possa realizzarsi. Questo è uno degli obiettivi dichiarati anche da Papa Francesco oggi: Marx ci arriva con il materialismo, non con lo spiritualismo religioso”.

Dunque “il senso della vita” per Marx non sta nell’accumulare,  ma nel condividere? “Solo un idiota pensa che riempirsi le tasche di soldi possa essere il suo scopo: i soldi e la ricchezza di fronte alla morte non possono nulla. Cosa se ne fa il ricco della sua abbondanza in punto di morte? Marx pone un problema: come fare perché tutti possano vivere decentemente per crescere come esseri umani? Il socialismo non è una caserma,  ma l’aver risolto i nodi concreti della sicurezza sociale per aprire agli individui la possibilità di sviluppare se stessi”.

L’intelligenza senza ormoni.

All’intelligenza artificiale serve  un “cuore” oppure possiamo affidarci alle sue decisioni, precise e rapide, senza farci altre domande? L’intelligenza artificiale si sostituisce agli esseri umani per liberarli dal lavoro manuale e renderli più felici o per farne dei consumatori passivi di prodotti e servizi a beneficio di quei pochi che possiedono e sfruttano il know how tecnologico? Se ne parlerà a Trento mercoledì 21 novembre alle ore 20.30 presso la Sala della Cooperazione (Via Segantini) in un convegno organizzato dalla Fondazione Bruno Kessler dal titolo “Angeli e demoni dell’intelligenza artificiale”. Interverranno vari esperti:  Piero Poccianti, Presidente Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, Francois Pachet, direttore di Spotify Creator Technology Research Lab, Francesco Profumo, presidente FBK, Michela Milano, vice-presidente dell’Associazione Europea per l’Intelligenza Artificiale e Carlo Casonato, vice-presidente del Comitato Etico per la sperimentazione con l’essere umano (Università di Trento). A Casonato abbiamo chiesto quale sia la questione più importante attorno agli sviluppi dell’intelligenza artificiale.

“Certamente il problema del futuro del lavoro umano è rilevante, ma la questione cruciale riguarda le macchine che in futuro avranno potenzialità di decisione autonoma. La prima auto a guida autonoma inizierà ad essere venduta negli USA dal prossimo dicembre: quando quest’auto si troverà di fronte alla scelta se investire un pedone, salvando i suoi passeggeri o schivare il pedone andando a schiantarsi contro un muro, mettendo a rischio gli uomini nel suo abitacolo, cosa deciderà? Sulla base di quali criteri “etici”? Il tema centrale  dunque è quello di una tecnologia innovativa che permetterà di prendere decisioni autonome in vari ambiti: ci sta bene perdere, come uomini, il ruole esclusivo di decisione? Ci sono strumenti in campo medico che sono in grado di fare diagnosi e indicare prognosi al posto dei medici: è questo il nostro futuro? Siamo pronti a delegare buona parte dei nostri dilemmi a macchine che attraverso l’autoapprendimento non potremo più controllare?”

Dovremmo dunque capire cosa significa “intelligenza”? Può un apparato tecnologico sviluppare quella caratteristica intelligenza che chiamiamo “emotiva”, la capacità cioè di non usare solo la razionalità calcolante, ma anche gli aspetti affettivi?

“Molti dicono che alle macchine mancano gli ormoni e quindi saranno sempre inferiori all’essere umano.  La sfida è decidere se lasciare la macchina autoapprendente a svolgere le sue funzioni al posto nostro o meno. La macchina ha veramente capacità di autonomia decisionale oppure si tratta di semplice “automazione”? L’autonomia deve rimanere in mano all’essere umano, con i suoi aspetti emotivi, ponendo dei limiti alla tecnologia in vista di una centralità della figura umana nella società del futuro. Non siamo pronti per una sostituzione dell’essere umano”.

Dunque tra angeli e demoni qual’è la direzione che prenderà l’intelligenza artificiale? “Siamo noi che ci comporteremo da angeli o da demoni. La possibilità di regolare le macchine ci costringe a riflettere su noi stessi e su che ruolo vogliamo mantenere. L’intelligenza artificiale è come uno specchio: ci costringe a ripensare l’intelligenza umana”.

A livello globale però sembra che lo sviluppo delle tecnologie non abbia come punto di riferimento l’etica, ma piuttosto l’economia.

“Dobbiamo iniziare a parlare di questi temi, e il convegno di FBK serve  anche a questo. Quando ci sono interessi economici è difficile che etica e diritto possano dettare legge. Però esistono tutta una serie di azioni, comitati etici, luoghi e occasioni in  cui si sente il bisogno di ragionare su queste cose. Anche i ricercatori spesso si autoregolamentano: quando è apparsa l’ingegneria genetica sono stati i ricercatori a darsi dei limiti. Una macchina, con intelligenza artificiale,  può oggi comporre musica, fare arte, scrivere un articolo di giornale. Ma al momento gli mancano gli ormoni e la possibilità di soffrire o gioire: questo è il più grande limite che la tecnica non può superare se l’uomo stesso non glielo permetterà”.

(Pubblicato su L’Adige del 21 novembre 2018)