Dios no mata. Intervista a Adolfo Pérez Esquivel, premio nobel per la pace.

L’uomo, non potendo «uccidere» Dio, lo allontana come fosse uno straniero con il «foglio di via». Invece «Dio non uccide».
«Dios no mata» è la frase che Adolfo Pérez Esquivel, (premio Nobel per la pace 1980, nato nel 1931 a Bueons Aires) aveva visto scritta con il sangue in una prigione, detta «tubo» perché molto bassa. L’aveva scritto qualcuno che, come lui, era stato incarcerato e torturato dal regime dittatoriale del presidente Videla, nel 1977. Esquivel sarà a Trento questa sera (ore 20.30, Sala grande del Castello del Buonconsiglio; modera Francesco Comina del Centro Pace di Bolzano) e per l’occasione sarà presentato il libro «Dio non uccide» di Arturo Zilli (editore Il Margine). Il libro ricostruisce la biografia di Esquivel, segnata da un grande impegno profetico per la non violenza, unita alla pratica della teologia della liberazione.
Oggi è presidente del Tribunale permanente per i diritti dell’uomo e del Servizio pace e giustizia, organizzazione internazionale (la referente italiana, Grazia Tuzi, lo sta accompagnando in questa serie di incontri italiani). La Provincia di Trento attualmente sta sostenendo un suo progetto a Buenos Aires per un centro giovanile.
Ma molti sono i segnali di «restaurazione» in America Latina.
Sembra si voglia porre fine alla stagione dei governi democratici: Esquivel ha già avuto modo di segnalarlo prendendo una posizione di netta condanna alla cerimonia in
omaggio al dittatore Pinochet avvenuta in Cile con l’appoggio del governo di
Sebastián Piñera. Gli abbiamo domandato quale sia la situazione attuale: «L’America Latina vive un momento di forti contraddizioni: c’è stato un golpe di stato in Honduras, attualmente anche in Paraguay, ci sono difficoltà in Guatemala, Salvador. Un situazione piuttosto grave c’è in Colombia, in Messico, con gravi violazioni dei diritti umani e una
democrazia troppo “formale” e poco reale. Più che una democrazia
consolidata c’è una apparenza di democraticità: guardiamo ad esempio al Cile, con la forte repressione degli studenti. Un Paese che dice di applicare leggi “anti-terrorismo”, ma
nasconde il “terrorismo di Stato”. Anche in Colombia, in Honduras, in Argentina: ci sono delle forti repressioni dei movimenti sociali. I governi autoritari si stanno
rinforzando, a discapito della democrazia. La situazione dei diritti umani in Messico, anche se a breve ci saranno nuove elezioni, non credo che cambierà di molto. Questo il panorama
attuale: la crisi economica generale inoltre ci dice che la povertà si potrebbe superare solo con delle serie politiche sociali».

Un bilancio sulla presidenza di Obama: cosa ha fatto per l’America Latina e per la pace?
«Non sta facendo nulla. Non ha terminato la guerra in Iraq e Afghanistan e in America Latina sta imponendo e sostenendo i regimi militari in tutto il continente, senza cambiare atteggiamento con Cuba. Obama non ha modificato assolutamente nulla».

Lei non si era illuso, come molti, che le cose potessero cambiare con la presidenzadi un nero democratico?
«Non ha il potere: ha la presidenza. Il potere vero è nelle mani delle grandi corporazioni economiche e del complesso industriale di tipo militare».

In «Dios no mata», il libro, si parla anche del periodo in cui lei fu torturato in prigione: cosa le resta di quella tremenda esperienza?
«È stata appunto una esperienza di vita: mi definisco un “apprendista” della vita. E la violenza subita fa parte della mia vita».

Un’esperienza positiva, invece, è stato l’incontro con la teologia della liberazione.
Pensa che quel metodo di interpretare il cristianesimo sia ancora valido oggi?
«La intendo come il cammino dei popoli: ha la capacità di mettere
assieme il sentire autentico dei cristiani e la loro spiritualità con un’azione concreta nella vita. La radice della teologia della liberazione: mettere in pratica il principio evangelico “ama il tuo prossimo come te stesso”. Dio non uccide, ma, pensando anche alla vicenda di Gesù Cristo, l’uomo uccide Dio.
«Mi sembra un’eccellente questione: il fatto è che siccome l’uomo non riesce a uccidere una volta per tutte Dio, allora lo allontana, rendendolo uno “straniero” da espellere dalla propria
società. Invertiamo questa tendenza e facciamo in modo che Dio non si sentauno straniero in mezzo a noi».

Guardando all’Europa di oggi: la crisi economica sembra l’unica vera preoccupazione; il Pil, la crescita. Quali valori invece dovrebbero rifiorire secondo Esquivel?
«Noi in America Latina viviamo da tempo questa crisi economica. Una crisi permanente. Ormai è come una sorella maggiore. A tratti la amiamo e spesso la odiamo. Crisi deriva da
“crescita”, da una crisi può nascere Pérez Esquivel, «Nobel» per avere denunciato gli abusi della dittatura militare argentina negli anni ’70 una evoluzione, verso una nuova vita. Oppure possiamo retrocedere. Di fronte alla crisi dobbiamo diventare creativi. Per esempio: l’Europa che ha tanti problemi, potrebbe guardare al sistema delle “fabbriche recuperate” che abbiamo messo in pratica noi in America Latina. Dove, tramite la
partecipazione popolare, non si scambia più il lavoro con la merce. Ma si produce anche cultura, arte. Perché il problema della crisi non è solo economico: la crisi è dei valori. Siamo in una società ormai quasi totalmente indirizzata verso l’individualismo.
Dobbiamo recuperare il concetto di “comunità” e di partecipazione sociale.
Tutti pensano che il male sia economico: ma il problema centrale è che il “prezzo” di una merce e il valore non sono la medesima cosa.
Recuperare il valore non ha un prezzo.

(pubblicato su “L’Adige” del 3 luglio 2012, pag.13)