La maschera della morte e il nomos della vita. Intervista a Luciano Violante.

Siamo circondati da un’indifferenza mortale: per Luciano Violante il vero male del nostro tempo è l’incapacità di affrontare il senso profondo della vita e della morte. 

Giurista, ex presidente della Camera e della Commissione antimafia, Violante ha dato inizio alla edizione 2004 dell’Agosto degasperiano (organizzato dalla Fondazione De Gasperi e il cui tema generale quest’anno è “Amare il nostro tempo”), sabato 27 luglio, con un intervento su “La maschera della morte e la legge della vita”, che è il sottotitolo del suo ultimo saggio “Ma io ti ho sempre salvato” (Bollati Boringhieri, 2024) dove scrive: “Non ci confrontiamo sul senso della morte perché non ci confrontiamo sul senso della vita”. 

Gli abbiamo chiesto quali cambiamenti sociali o culturali crede siano necessari per ricominciare ad affrontare il senso della vita e della sua “sacralità”?

“Sento molto parlare di dignità della morte, ma non di dignità della vita. C’è qualcosa di contorto nel nostro pensiero sulla contemporaneità. Dove di fatto siamo circondati dalla morte: ci sono circa cinquanta guerre in corso. Migliaia di persone migranti che muoiono in mare, nei deserti, per raggiungere un futuro migliore. Ma tutte queste morti le consideriamo “normali”: a volte si usa lo stesso termine, sui media, tanto per definire l’abbattimento di un edificio quanto per l’omicidio di una persona. In sostanza c’è una indifferenza nei confronti della morte da analizzare con attenzione e preoccupazione”. 

In che modo, come si vince l’indifferenza? 

“Bisogna andare ai fondamentali: la vita e la morte. Non la pace e la guerra che riguardano i “grandi decisori”. Vita e morte riguardano le persone. Bisogna fare una battaglia per la vita per poter mettere fine alle guerre. Mi colpisce molto lo slogan delle donne iraniane: donna, vita, libertà. Occorre dunque occuparsi di “bio-politiche”, di politiche per la vita. Bisognerebbe mettere assieme politiche dell’infanzia, della famiglia, della salute e del lavoro. Considerandole in maniera integrata, non separatamente. Tutto il contrario di quel che accade oggi in Italia: garantire una vita dignitosa è compito di ogni governo”. 

Quali insegnamenti possiamo trarre dalla tradizione classica e biblica per recuperare il senso della dignità della vita? 

“Sono un credente senza religione: ma se la lotta tra il bene e il male fosse già decisa a favore del bene che senso avrebbe la vita? Tutto sarebbe già prestabilito e orientato al bene. In realtà così non è: più volte nei Vangeli viene citata la presenza del satàn, in ebraico “l’accusatore”. Nell’ultima cena Gesù dice ai suoi che se ne andrà, ma il male resta con voi. E il senso della vita è proprio la lotta contro il male. Se si può dire: dobbiamo dare una mano a Dio. Come lui ha chiesto nell’Alleanza: possiamo costruire qualcosa assieme. Questo è il vero senso della vita. Dovremmo rifletterci di più ed essere coerenti”

Non rischiamo con questo una polarizzazione: credersi sempre dalla parte del bene non equivale alla radice di molti mali? 

“Condivido pienamente. Ma non penso ci si debba credere sempre dalla parte del bene: dico che è in atto uno scontro tra bene e male. Il bene è tra noi come il male. Il senso della vita è questa lotta per far vincere il bene. Non che esista  un bene assoluto da seguire ciecamente: non sono un seguace di Trump!”. 

Da poco è mancata sua moglie, Giulia De Marco: di fronte alla morte delle persone care se non si ha una fede religiosa, non si crede nell’immortalità dell’anima, come si può  restare razionali ed accettare la “fine” di chi si ama? 

“Credo in un’idea laica di sacralità: ciò che non è ripetibile ed è un valore, come la vita e la morte, è sacro anche per un laico. Intangibile e non manipolabile. Vita e morte non sono ripetibili, sono uniche. Dati essenziali della vita di una persona. Di qui una laica sacralità di questi momenti. Ne consegue un profondo rispetto della vita e della morte. Di fatto nella frenesia del nostro tempo la morte “interferisce sgarbatamente”: quando sentiamo che è morto qualcuno il fatto ci distoglie dalle nostre faccende quotidiane. Più di una volta mi è capitato di vedere mancanza di rispetto nei confronti della morte. In un passato anche recente la morte era qualcosa di importante su cui soffermarsi: un fatto sociale. Un riconoscimento della persona e della sua storia, dei suoi rapporti. Adesso la morte significa, quasi sempre, solitudine. 

Come ex magistrato e politico, come ha influenzato la sua percezione della morte il suo lavoro nella lotta contro la mafia, un contesto in cui la vita e la morte sono spesso in stretta vicinanza?

“Mi è capitato, per fortuna mia e adeguatezza degli altri, di essere vivo. Nonostante i vari tentativi per fermarmi. Quando si fa un lavoro in cui si crede, non si pensa da altro. Importante che chi ti è caro sappia che può accadere”. 

Parlando di amore del nostro tempo, tema dell’ Agosto degasperiano, quale aspetto del nostro tempo ritiene più amabile e utilizzabile nella costruzione di una società più giusta e umana? 

“Il nostro è il tempo della scoperta, della ricerca e delle novità: questo è l’aspetto che amo della nostra contemporaneità. Penso allo spazio, alla ricerca in medicina, alle innovazioni digitali. Vedo però una certa propensione al conflitto che non mi piace: la tendenza poi a risolvere i conflitti con le punizioni e le aggressioni. La guerra è tornata ad essere lo strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Le diplomazie non esistono più”. 

Alcide De Gasperi è stato figura centrale nella costruzione della democrazia italiana. Quali aspetti del suo pensiero politico ritiene più rilevanti e attuali per affrontare le sfide contemporanee?

“Sono diventato  un grande ammiratore di De Gasperi, dopo averlo studiato: in una situazione di grande difficoltà in cui il Vaticano, l’ambasciata americana e altri gli chiedevano di mettere al bando comunisti, socialisti e sindacati, lui si è sempre rifiutato di attuare misure liberticide. E’ stato un vero garante dei valori costituzionali. Unico errore è stata la legge del ‘53: il maggioritario ha sottratto voti a chi li aveva guadagnati e questo nella cultura dell’epoca non era accettabile. De Gasperi però, senza piantare bandiere, ha sempre difeso la laicità della Repubblica, nello scontro con Pio XII. La cosa importante di De Gasperi è che non voleva dividere il suo Paese: aveva a cuore unità e coesione, non la vittoria del suo partito. Si competeva per governare, non per vincere”. 

(Intervista pubblicata sul quotidiano L’Adige il 27 luglio 2024 link al PDF della pagina) .

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