Beatitudine

“Uomo, se vuoi esser saggio e vuoi conoscere Dio e te, devi prima bruciare la brama mondana in te”.
Con queste parole di Angelus Silesius (nome che nel 1653 Johannes Scheffler scelse dopo essersi convertito al cattolicesimo dal luteranesimo) Francesco Roat, saggista e critico letterario trentino conclude il suo ultimo saggio dal titolo “Beatitudine” (editrice L’Ancora) appena pubblicato.
Roat ha ripercorso le tappe del mistico Silesius verso la stesura di un’opera “Il pellegrino cherubico” universalmente riconosciuta come sintesi del misticismo cristiano. Johannes Scheffler è oggi un “assai poco celebre mistico, poeta, filosofo e medico tedesco del XVII secolo”, scrive Roat. Il suo merito: tradurre in poesia la mistica cristiana, poco intellegibile ai profani di teologia e religione. Meister Eckhardt, il più famoso domenicano, portò la tradizione della mistica cristiana nella filosofia medievale.
Nel ‘600, secolo di Cartesio e delle “matematiche verità” Angelus Silesius fu una voce controcorrente, riproponendo quella dimensione mistica in cui Dio non solo non può essere conosciuto in maniera razionale, ma risulta sconveniente quasi pronunciare quel nome composto di tre lettere. Di lui si può dire solo “ciò che non è”, una teologia negativa, in cui, oltre il nulla, si trova, con infinita umiltà, Dio. Nel suo saggio anche Roat va controcorrente e ci permette l’ascolto di una “visione del mondo”, quella mistica
che appare quasi totalmente dispersa nella nostra epoca. Mette in luce “l’uomo spirituale” d’altri tempi, l’angelico Silesius, per parlarci di oggi e di, (come scrive Marcello Farina nella prefazione al saggio) “una vista spirituale che è soprattutto”esperienza”, non dottrina. Ricerca di “pienezza”, non selezione di parte. “Interiorità abbracciante”, non esteriorità che separa.

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