Dio è morto e con esso il sistema economico ormai espressione della cultura che quel Dio, strumento e metafora di potere e sviluppo infinito, rappresentava. Unica soluzione: la decrescita e mettersi nella prospettiva dell’autoproduzione, guardando al medioevo per cercare di capire come ricominciare a cooperare e vivere felici. Massimo Fini, giornalista, drammaturgo, scrittore, è uno dei teorici della “decrescita” ed ha fondato nel 2005 “Movimento zero” proprio per diffondere a livello politico la necessità di porre fine all’illusione di una crescita infinita, di uno sviluppo senza limiti.
Che quel Dio è morto, Fini lo dice con il filosofo Friedrich Nietzche che all’inizio del novencento ha indicato profeticamente la fine di una civiltà, quella occidentale, nata sulla idea di progresso e sfruttamento delle risorse. Era all’AlterFestival, (Urban Center di Rovereto) lo scorso sabato 25 maggio, per dare il via alla due giorni di dibattito su un’economia “diversa”. Abbiamo chiesto a Fini di spiegarci come immagina la decrescita economica. “Il modello di sviluppo occidentale nato con la rivoluzione industriale, ormai ha coinvolto anche l’oriente. Si basa sull’impossibile: prevede un modello di crescita esponenziale. Ne esistono nella matematica. Non in natura. Dobbiamo essere consapevoli che ogni cosa umana ha un limite: lo stiamo raggiungendo in questi anni. Siamo come una potentissima auto, partita due secoli e mezzo fa. Ha tenuto sempre una altissima velocita: adesso però davanti ha un muro. E lo schianto è inevitabile. Eppure il pilota sta dando ancora il massimo del gas. Fuori metafora: non possiamo più crescere. E’ una dato di realtà e finiremo con un collasso estremamente drammatico se non facciamo qualcosa in fretta. Come nel caso dell’Impero Romano: appena finito di conquistare il modo è imploso. Ma l’Impero era una piccola parte del mondo: oggi nella crisi siamo coinvolti tutti. Il crollo questa volta sarà planetario”.
Proviamo a prospettare qualche “speranza”: che si può fare per evitare la catastrofe? “Se l’uomo fosse un animale intelligente dovrebbe avere il coraggio di fare qualche passo indietro. Deve tornare, in modo limitato e ragionato, a forme di autoconsumo. Bisogna arrivare ad un recupero della terra: è in fondo quella che ci nutre. Il cibo: l’unica cosa veramente essenziale. Poi è necessario un ridimesionamento drastico dell’apparato industriale, finanziario e virtuale, la rete informatica, che ci sta inghiottendo tutti”.
In Trentino la piccola produzione familiare, il sistema di cooperazione, sono un elemento connaturale alla gente e al sistema economico. Come il “locale” deve interagire con il “globale”? Il “locale” ha grosse difficoltà a resistere se attorno ha un sistema di vita non conforme a se. Sono soluzioni esistenziali, particolari, che possono valere solo per alcune persone. Rischiano di fallire: come tutte le comunità “ideali”. Il problema è proprio la globalizzazione che ha esasperato tutto: vuol dire competizione spietata tra Stati che passa sulla pelle delle popolazioni prima del terzo modo e ora anche del “primo” mondo. Ma non siamo sempre stati organizzati così”.
Ci sono degli esempi nella storia che possono venirci utili come modello? “Nel medioevo si faceva perno sulla cooperazione e meno sulla competizione. Guardiamo gli statuti degli artigiani di allora: era vietato persino distogliere il cliente dal negozio del vicino. No alla concorrenza! Impedite per legge, da parte della Chiesa, sia l’usura che l’interesse sul denaro. Con una motivazione interessante.
Il tempo è di Dio, quindi di tutti, e non può essere oggetto di mercato. Per questo non si poteva speculare sul tempo. Le terre: erano distribuite non nel senso della maggiore efficienza, ma con un criterio di giustizia. Ogni nucleo familiare doveva avere il suo spazio vitale e non esistevano quei fenomeni che oggi di inquietano tanto. Non c’era la disoccupazione: ciascuno viveva sul suo e non restava senza lavoro. Il “servo della gleba”: non poteva lasciare il terreno del feudatario, ma non poteva nemmeno essere abbandonato o cacciato”.
Non avrà intenzione di proporci un ritorno al medioevo? “No. E’ lecito certamente porci dei dubbi sulla strada che abbiamo intrapreso: si è puntato tutto sulla economia emarginando altre istanze ed esigenze dell’uomo. Dal passato possiamo prendere delle suggestioni. Non tornare al medioevo, ma piuttosto dobbiamo ripercorrere la storia economica e non fossilizzarci su un “unico” modello possibile. Quello attuale che si può riassumere in: lavora, consuma, crepa!”.Possiamo fare a meno della tecnica e dei vari strumenti tecnologici che oggi caratterizzano la vita quotidiana? “Paolo Rossi, filosofo della scienza, mi spiegò una volta che la tecnica è un moltiplicatore di problemi: come ne risolve uno ne apre mille di nuovi. Allontana da noi stessi e dai nostri istinti. Nel crollo delle torri gemelle, 11 settembre 2001, si salvò un cieco: il suo cane lo portò fuori pericolo perché non sentì e non capì evidentemente gli inviti degli altoparlanti a stare calmi e ad attendere l’arrivo dei soccorsi. La natura e l’istinto ci salvano. Non la tecnica. Siamo in una società dove il tasso di suicidi è cresciuto in maniera tragica negli ultimi anni. E’ un sintomo chiaro dell’infelicità sostanziale della gente”.
La spiritualità, la religione, può avere un ruolo per “salvarci” dal collasso? “Dio è morto nella coscienza dell’uomo occidentale. E non è possibile resuscitarlo. La religione oggi è quasi puramente formale. Il precedente Papa ha sintetizzato così la situazione: Dio ha abbandonato gli uomini. Sono un onesto pagano: credo però che la Chiesa debba curarsi delle anime e da parecchio tempo a questa parte si occupa di tutt’altro”.
(Articolo pubblicato su L’Adige del 25 maggio 2013)