Filosofia come libertà e liberazione. Per UTETD.

Università della Terza Età e del Tempo Disponibile

La Libertà

Un percorso di “liberazione” attraverso la filosofia

Il Tema del Corso

Il concetto di libertà è centrale nella filosofia occidentale, ma il suo significato non è affatto scontato.

Questo percorso esplora la libertà non come uno stato dato, ma come un processo: un faticoso cammino di “liberazione”.

Ogni filosofo ci indicherà una “prigione” da cui fuggire e una “via” da percorrere.

Prima Lezione

Le Fondamenta della Libertà:
Dall’Anima alla Natura, da Dio all’Infinito

1. Socrate: La Prigione dell’Ignoranza

Il nostro viaggio inizia con una ridefinizione dell’essere umano. Per Socrate, “noi siamo la nostra anima”. L’identità risiede nella *psyché*, intesa come sede della vita intellettuale e morale.

La vera prigione, quindi, non è il corpo, ma l’ignoranza: l’agire senza conoscere il vero Bene.

“Nessuno compie il male volontariamente, ma per ignoranza.”

Socrate: La Liberazione attraverso la Conoscenza

Il percorso di liberazione è il celebre motto: “Conosci te stesso” (Gnōthi seauton).

La libertà si ottiene attraverso la “cura dell’anima”: un dialogo incessante (la maieutica) per liberare la nostra anima dalle false opinioni.

Concetto Chiave: Intellettualismo Etico

La vera libertà non consiste nel fare ciò che ci pare (schiavitù delle passioni), ma nell’agire secondo ragione, conoscendo il Bene.

2. Aristotele: La Libertà nell’Azione Concreta

Con Aristotele, la ricerca della libertà scende dal cielo alla terra. L’etica non è una scienza teoretica, ma una “scienza pratica”.

Il suo fine non è la conoscenza astratta del Bene (come in Platone), ma la felicità (*Eudaimonia*) raggiungibile in questa vita.

Importante: per Aristotele, l’uomo è libero. In campo etico e morale, le sue azioni non sono “necessarie” o preordinate.

Aristotele: La Prigione degli Estremi

La prigione da cui liberarci è il caos degli impulsi, il dominio delle passioni che ci spingono verso i due estremi: l’eccesso e il difetto.

Siamo schiavi quando siamo vili (difetto di coraggio) o quando siamo temerari (eccesso di coraggio).

Aristotele: La Liberazione come “Giusto Mezzo”

La libertà è autodeterminazione. Si realizza attraverso l’esercizio della virtù.

La virtù è la capacità, forgiata con l’abitudine, di scegliere il “giusto mezzo” tra i due estremi.

Strumento: La Saggezza (Phronesis)

Il giusto mezzo non è una media matematica, ma una scelta che si adatta alla situazione. Per trovarlo serve la saggezza pratica, la virtù dianoetica che guida le virtù etiche.

3. Epicuro: La Prigione della Paura

Con l’ellenismo, la libertà si ritira dalla vita pubblica e diventa una conquista interiore. La prigione è il turbamento (*tarassia*) dell’anima.

Siamo schiavi di due paure fondamentali:

  • La paura degli dèi (che ci puniscano).
  • La paura della morte (che sia dolorosa o una fine terribile).

Epicuro: La Liberazione come “Atarassia”

Il percorso di liberazione è il “Quadrifarmaco”, una “medicina” per l’anima.

“Il male, la morte, non è nulla per noi: quando ci siamo noi, non c’è la morte; quando c’è la morte, non ci siamo noi.”

Concetto Chiave: Atarassia

La vera libertà è l’assenza di turbamento. È la pace dell’anima che si raggiunge “vivendo nascosti”, liberandoci dai desideri superflui e dalle paure infondate.

4. San Tommaso: Il Rischio del “Liberum Arbitrium”

Nel pensiero cristiano, la libertà è un dono divino fondamentale: il libero arbitrio (*liberum arbitrium*), la facoltà di scegliere.

Questa stessa facoltà è però un rischio. La prigione è il peccato: l’uso errato della nostra libertà, la scelta del male.

La liberazione, quindi, è il percorso della Grazia e della Fede che “curano” la nostra volontà e la ri-orientano verso il Bene (Dio), che è il nostro fine ultimo.

5. Giordano Bruno: La Liberazione dal Dogma

Alle soglie della modernità, la prigione torna ad essere esterna: è il dogma.

Sono le catene imposte dalla tradizione, dalla filosofia aristotelica e dall’autorità religiosa che ingabbiano il pensiero in un cosmo finito e gerarchico.

La liberazione è la scoperta dell’universo infinito. L’anima umana, scintilla di questo infinito, ha un desiderio infinito di conoscenza.

Concetto Chiave: Eroico Furore

È lo slancio intellettuale e passionale che spinge l’uomo a superare ogni limite per unirsi con l’infinito. La libertà di pensiero è un valore assoluto, da difendere fino al rogo.

Fine della Prima Lezione

Riepilogo: Dalla conoscenza di sé (Socrate) e la virtù pratica (Aristotele), alla pace interiore (Epicuro), fino all’adesione al divino (Tommaso) e alla rottura eroica dei limiti (Bruno).

Seconda Lezione

Il Labirinto della Libertà Moderna:
Autonomia, Volontà, Esistenza

La Svolta Moderna: Le Prigioni Interiori

Con la modernità, il campo di battaglia della libertà si sposta all’interno dell’individuo.

Le catene non sono più (o non solo) il cosmo, Dio o la paura della morte. Le prigioni più difficili da espugnare sono dentro di noi: le nostre passioni, la nostra ragione, la nostra stessa volontà.

6. Kant: La Prigione dell'”Eteronomia”

Per l’Illuminismo kantiano, la prigione è l’eteronomia (da *heteros*, “altro”, e *nomos*, “legge”).

Siamo schiavi ogni volta che lasciamo che la nostra legge morale ci venga dettata da qualcosa di esterno a noi:

  • Dalle nostre passioni (“faccio così perché mi piace”).
  • Dall’autorità (“faccio così perché lo dice il Re / il Prete”).
  • Dalla tradizione (“faccio così perché si è sempre fatto così”).

Kant: La Liberazione come “Autonomia”

Il percorso di liberazione è il motto stesso dell’Illuminismo:

“Sapere Aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!”

La libertà è Autonomia (da *autos*, “se stesso”, e *nomos*, “legge”). È la capacità della ragione di dare legge a se stessa.

Kant: La Libertà è Obbedire alla Ragione

Siamo veramente liberi solo quando agiamo moralmente, cioè quando la nostra volontà sceglie di obbedire alla legge morale che la nostra stessa ragione scopre dentro di noi.

Questa legge è l’Imperativo Categorico.

Per Kant, la libertà non è fare ciò che ci piace, ma fare ciò che dobbiamo, scegliendo razionalmente di farlo.

7. Schopenhauer: La Prigione della Volontà

Dopo Kant, il pensiero romantico e idealista rovescia la prospettiva. Per Schopenhauer, la ragione è solo un’illusione.

La vera prigione è la realtà stessa. Il mondo è dominato da una forza cieca, irrazionale ed eterna: la Volontà di Vivere.

Noi non siamo liberi. Siamo solo marionette di questa Volontà che ci costringe a desiderare, lottare e soffrire, in un ciclo infinito e senza senso.

Schopenhauer: La Liberazione DALLA Volontà

Se la vita è prigionia e sofferenza, la liberazione non può essere *nella* vita, ma *dalla* vita.

Il percorso di liberazione ha tre tappe:

  1. L’Arte (una liberazione temporanea, contempliamo le idee senza desiderio).
  2. La Pietà (com-patire il dolore altrui).
  3. L’Ascesi (la liberazione definitiva).
Concetto Chiave: Noluntas

La vera libertà è la Noluntas: la negazione della volontà stessa, lo spegnimento del desiderio, il raggiungimento del Nirvana.

8. Nietzsche: La Prigione della “Morale degli Schiavi”

Nietzsche accetta la premessa di Schopenhauer (il mondo è caos irrazionale) ma ne rovescia la conclusione. La sua è una filosofia del “Sì” alla vita.

L’annuncio “Dio è morto!” non è una tragedia, ma una liberazione.

La vera prigione è la morale giudaico-cristiana: una “morale degli schiavi” nata dal *ressentiment* (risentimento) dei deboli, che ha definito “peccato” tutto ciò che è forte, nobile e vitale.

Nietzsche: La Liberazione come “Volontà di Potenza”

Il percorso di liberazione passa per il rifiuto dei vecchi valori e la creazione di nuovi. È il passaggio dall’uomo all’Oltreuomo (*Übermensch*).

La libertà non è negare la volontà (Schopenhauer), ma potenziarla.

Concetto Chiave: Volontà di Potenza

Non è il desiderio di dominare gli altri, ma la volontà di auto-superamento, di imporre la propria volontà creatrice sul caos e di diventare ciò che si è.

Nietzsche: L’Accettazione Totale (“Amor Fati”)

Il test supremo della liberazione nietzschiana è l’accettazione dell’Eterno Ritorno dell’Uguale.

Saresti libero e felice di rivivere questa stessa vita, con i suoi dolori e le sue gioie, infinite volte?

L’Oltreuomo è colui che risponde “Sì!” e pratica l’Amor Fati: l’amore per il proprio destino, qualunque esso sia.

9. Sigmund Freud: La Terza Rivoluzione

Il ‘900 si apre con una nuova, profonda messa in discussione della libertà.

Dopo Copernico (non siamo al centro dell’universo) e Darwin (siamo animali), Freud compie la terza “rivoluzione” o “umiliazione” per l’uomo.

“L’Io non è padrone in casa propria.”

La nostra libertà cosciente è un’illusione.

Freud: La Prigione dell’Inconscio

La nostra mente è un campo di battaglia. La nostra apparente libertà è in realtà determinata da forze che non controlliamo.

Siamo prigionieri di un conflitto tra:

  • Es (Id): Le pulsioni biologiche, l’istinto, il principio di piacere.
  • Super-Io (Super-Ego): La morale interiorizzata, il genitore, il giudice, il senso di colpa.
  • Realtà Esterna: I vincoli del mondo.

L’Io (Ego) è il povero mediatore che cerca di non impazzire.

Freud: “Il Disagio della Civiltà”

Anche la società è una prigione. Per vivere insieme (la Civiltà o *Kultur*), dobbiamo reprimere le nostre pulsioni (sesso e aggressività).

Abbiamo scambiato la nostra felicità (libertà pulsionale) con la sicurezza.

“Il prezzo del progresso si paga con la riduzione della felicità, dovuta all’intensificarsi del senso di colpa.”

Freud: La Liberazione come Consapevolezza

La liberazione freudiana non è una libertà assoluta (impossibile), ma un faticoso aumento di consapevolezza.

Il percorso è la psicoanalisi: portare alla luce i traumi, i desideri e i conflitti rimossi.

L’Obiettivo: “Wo Es war, soll Ich werden”

(“Dove era l’Es, deve subentrare l’Io”). La liberazione è sostituire la coazione inconscia con la scelta (per quanto limitata) dell’Io.

10. L’Esistenzialismo: La Libertà al Centro

Con Heidegger e Sartre, la libertà non è più solo un *problema* filosofico, ma diventa l’essenza stessa dell’esistenza umana.

L’uomo è l’unico ente il cui modo di essere è l’interrogarsi sul proprio essere, e quindi… scegliere.

Heidegger: La Prigione dell’Esistenza Inautentica

L’uomo è *Dasein* (Esser-ci), un essere “gettato nel mondo” senza averlo chiesto.

La prigione è l’esistenza inautentica: la fuga dalla nostra unicità per rifugiarci nell’anonimato del “Si” (das Man).

  • Si dice, si fa, si pensa…
  • È la vita dominata dalla “chiacchiera”, dalla “curiosità” e dall'”equivoco”.

Heidegger: La Rivelazione dell’Angoscia

Come ci si libera? La via è annunciata da un’emozione fondamentale: l’Angoscia (*Angst*).

L’Angoscia non è “paura” (che è sempre *di qualcosa*), ma è l’angoscia *del nulla*. Ci fa sentire spaesati e ci rivela la nostra vera condizione.

L’Angoscia ci mette di fronte alla nostra “possibilità più propria”: l’essere-per-la-morte.

Heidegger: La Liberazione come Esistenza Autentica

L’uomo non è una cosa fissa, ma è “poter-essere” (possibilità).

La liberazione è l’esistenza autentica. Consiste nell'”anticipazione della morte”: vivere sapendo di dover morire ci libera dalla banalità e ci costringe a scegliere.

La libertà autentica è assumersi la responsabilità del proprio, unico progetto di vita.

11. Sartre: “L’Esistenza Precede l’Essenza”

Sartre porta l’esistenzialismo alle sue estreme conseguenze.

Prima esistiamo (“gettati nel mondo”), e solo *dopo*, attraverso le nostre scelte, definiamo chi siamo (la nostra “essenza”).

Non c’è una natura umana, non c’è un Dio che ci ha progettati. Siamo radicalmente liberi.

Sartre: La Prigione della “Malafede”

Questa libertà assoluta è terrificante. Genera Angoscia.

La prigione è la “malafede” (*mauvaise foi*): è la fuga dalla libertà. È il mentire a noi stessi, pretendendo di *dover* essere in un certo modo (un cameriere, un professore, un “bravo ragazzo”), come se fossimo una cosa (un *essere-in-sé*) e non una pura possibilità (*essere-per-sé*).

Sartre: La Prigione dello Sguardo Altrui

La nostra libertà è minacciata anche dallo sguardo dell’Altro.

Lo sguardo altrui ci “reifica”, ci trasforma in un oggetto, ci definisce. Ci ruba le nostre possibilità e ci giudica. È in questo senso che va intesa la famosa frase:

“L’inferno sono gli altri.”

Sartre: La Liberazione come “Condanna”

Per Sartre, non c’è una vera “liberazione”, perché siamo già liberi. Non possiamo non esserlo.

“L’uomo è condannato ad essere libero. Condannato perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa.”

La “liberazione” consiste solo nell’accettare questa condanna e nell’assumersi la responsabilità totale di ogni nostra scelta.

12. Wittgenstein: L’Ultima Prigione

Il percorso del ‘900 si conclude con una prigione inaspettata: non la morale, non l’inconscio, ma il linguaggio stesso.

Molti dei nostri grandi problemi (cos’è l’Essere? cos’è la Volontà? cos’è la Libertà?) non sono problemi reali, ma “crampi mentali”.

Sono malattie causate da un uso scorretto del linguaggio, che ci intrappola in “giochi” che non comprendiamo.

Wittgenstein: La Liberazione come Chiarezza

Il percorso di liberazione è la filosofia intesa come terapia.

Il suo scopo è “mostrare alla mosca la via d’uscita dalla bottiglia”.

La libertà non è trovare la risposta, ma *dissolvere la domanda*. È la chiarezza: comprendere come funziona il nostro linguaggio e quali sono i suoi limiti.

“Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.”

Conclusione: Il Filo Rosso (Antichità)

Il percorso di “liberazione” ci ha portati a fuggire:

  • Dall’Ignoranza di noi stessi (Socrate)
  • Dagli Estremi e dagli impulsi (Aristotele)
  • Dalla Paura della morte e degli dèi (Epicuro)
  • Dal Peccato come cattivo uso del volere (Tommaso)
  • Dai Dogmi e dai limiti del pensiero (Bruno)

Conclusione: Il Filo Rosso (Modernità)

Il viaggio moderno ci ha portati a liberarci:

  • Dall’Eteronomia e dalle passioni (Kant)
  • Dalla Volontà di Vivere cosmica (Schopenhauer)
  • Dalla Morale del risentimento (Nietzsche)
  • Dall’Inconscio e dal senso di colpa (Freud)

Conclusione: Il Filo Rosso (Contemporaneità)

Infine, il ‘900 ci ha chiesto di liberarci:

  • Dalla Banalità dell’esistenza inautentica (Heidegger)
  • Dalla “Malafede” che nega la nostra libertà (Sartre)
  • Dalle Trappole del Linguaggio (Wittgenstein)

La Libertà Oggi

Il viaggio della filosofia ci mostra che la libertà non è mai un traguardo raggiunto una volta per tutte, ma una conquista e una responsabilità costanti.

La domanda finale che resta aperta è:

Quali sono le nostre prigioni contemporanee? E quali i nostri percorsi di liberazione?

Grazie per l’attenzione.

Sabbia sul marmo.

Sabbia sul marmo.

E se un santo, un attimo prima del martirio, invece di contemplare il paradiso facesse i conti con i propri vizi? E’ l’ipotesi di Joseph Tassone, giurista e capoufficio dei servizi funerari del Comune di Trento,  in “Sabbia sul marmo” (ViTrenD editore). L’opera immagina gli ultimi pensieri di Tommaso Moro, il quale, in attesa dell’esecuzione, non contempla le sue virtù ma si confronta con i sette vizi capitali. L’idea centrale del libro è un potente ribaltamento: Tommaso Moro, alla vigilia della morte, non contempla le virtù per cui sarà canonizzato, ma fa i conti con i sette vizi capitali.

A Tassone abbiamo domandato: da dove nasce l’urgenza di esplorare la fragilità di una figura così monumentale? 

Tommaso Moro era una persona dotata di grande ironia, e non esiste ironia autentica se non la si rivolge anche verso sé stessi. L’ironia non è sempre allegria; è un modo deformato di vedere il mondo, di avvertire il suo contrario. Ho sempre pensato ai grandi personaggi, a coloro i quali hanno raggiunto le vette di un ideale, sia esso di santità, sapere o politica. Dietro la facciata esiste un “intimo”, un “minimo”, un lato il quale al postero fa comodo dimenticare, essendo più facile celebrare le cose semplici. Immagino quest’uomo di saggezza e ponderazione, e non credo si sia fatto uccidere a cuor leggero. Il suo non fu un atto di eroismo nel senso corrente, ma di accettazione di una situazione in vista di un bene più alto: la coerenza con sé stesso. 

Nella sua biografia si legge che lei di professione è capo ufficio dei servizi funerari. Quanto di questa esperienza è confluito in un’opera che è meditazione di un uomo sull’orlo del sepolcro?

Il mio lavoro non può non aver confluito in quello che ho scritto. La malattia ti dà il senso della possibilità, la morte ti dà la certezza della fine. Questa consapevolezza ha influito di sicuro. Spesso, guardando le persone composte dopo la morte, immagino cosa abbiano pensato durante il gran salto. Quale sia stato l’ultimo pensiero. Poi sorrido, pensando: “magari hanno pensato che gli piace la marmellata”. Sarebbe un pensiero bellissimo con cui andarsene. Bisogna imparare il rispetto verso tutti i pensieri, soprattutto quelli in limine. Sulla morte rifletto da sempre, anche perché ne sono preoccupato. Quando mi hanno proposto il trasferimento ai servizi funerari, mia madre commentò: “Beh, lo sapevo io che tu prima o poi lì finivi”. Meglio di mio padre, il quale disse: “Ti abbiamo fatto studiare per quello?”. 

Lei ha una formazione da giurista.Il suo libro sembra un processo intimo, dove Moro è al tempo stesso imputato, avvocato e giudice di sé stesso. Questa struttura processuale della coscienza deriva dalla sua formazione?

Moro, in verità, si è già imputato prima di iniziare a scrivere; parte dal presupposto di aver attraversato tutti i vizi. Lui però non proferisce la condanna. Essendo un uomo aderente a quel credo, sa di non avere il diritto di condannarsi, così come non ha il diritto di salvarsi. Può solo concorrere al giudizio e affidarsi alla misericordia di Dio. Nel processo di confessione sacramentale, come diceva Dante, ci sono l’esame, la contrizione e il proposito. Lui l’esame lo sta facendo, ne è contrito. Per il proposito ha poca speranza, aspettandolo il boia il giorno dopo, ma non si condanna.

La scelta di Moro di non giurare è l’atto di disobbedienza civile per eccellenza. In un’epoca di polarizzazioni e conformismo come la nostra, che valore ha la sua testimonianza?

Di Tommaso Moro mi ha sempre colpito proprio questo: il silenzio. Non c’è un atto di ribellione, c’è una disobbedienza. Lui non giura e se ne sta dov’è. Il significato, trascendente la sua persona e la sua epoca, è la libertà di coscienza. Ma ciò che mi intriga ancora di più è la coerenza. Per quanto riguarda i vizi, i marinai cambiano mare, ma non cuore. L’uomo ha uno scheletro il quale resta uguale a sé stesso nello scorrere delle generazioni. La polpa intorno è fatta di eredità culturale, incontri, caso. Altrimenti perché continueremmo a portare, sul luogo in cui riposano i nostri cari, le stesse offerte delle popolazioni antiche? Oggi magari mettiamo un codice QR vicino alle tombe, lo inquadri e vedi il morto animarsi con l’intelligenza artificiale. A me non piace, ma cos’è questo se non una lunga lapide scritta da altri, con uno scalpello divenuto tecnologico?

(Articolo pubblicato sul quotidiano L’Adige il 13 luglio 2025)

Il dilemma dell’IA: tra futuro radioso e declino umano.

Il dilemma dell'IA: tra futuro radioso e declino umano.

Tra la promessa di un futuro radioso e il rischio di un’umanità disumanizzata: l’Intelligenza Artificiale ci pone di fronte a un bivio. Lunedì 3 marzo 2025 la Fondazione Bruno Kessler di Trento ha ospitato un seminario per discutere “Il ruolo dell’IA tra conservazione e trasformazione” che ha visto la partecipazione di Paolo Ercolani, docente di filosofia all’Università di Urbino e autore del libro “Nietzsche l’iperboreo. Il profeta della morte dell’uomo nell’epoca dell’Intelligenza artificiale” (Il Melangolo). 

L’avvento dell’Intelligenza Artificiale ha portato con sé un acceso dibattito sui suoi effetti sull’umanità. Ercolani sostiene che l’abuso di IA stia causando danni a livello cognitivo. Gli abbiamo chiesto di spiegarci meglio questa affermazione.

” Diversi studi evidenziano un calo del quoziente intellettivo medio della popolazione a partire dal 2009, anno di diffusione degli smartphone, e quindi di un accesso costante all’intelligenza artificiale. Per oltre cento anni, dal 1907 al 2009, il quoziente intellettivo medio era invece aumentato, grazie alla scolarizzazione, ai libri, ai giornali. Inoltre, in Italia il 40% della popolazione soffre di analfabetismo funzionale: sa leggere e scrivere, ma non capisce ciò che legge. E c’è un altro dato allarmante: la principale causa di morte tra i nativi digitali è il suicidio, un fenomeno mai verificatosi prima d’ora in questa fascia d’età. I giovani si dichiarano tristi, depressi, privi di speranza, imprigionati in una bolla alienante fatta di cellulari e social media, con la costante necessità di controllare il proprio smartphone e le proprie pagine social. Questa dipendenza li rende ansiosi, li fa sentire costantemente in vetrina, sotto giudizio, inadeguati. L’IA sta quindi contribuendo a una mutazione antropologica, con una degenerazione a livello cognitivo, emotivo e relazionale. È una generazione più sola, che paradossalmente, pur essendo la più “social” di sempre, smette di vedersi con gli amici in carne e ossa, preferendo restare a casa davanti al computer o allo smartphone. “

Il tema della conferenza di Trento è “Il ruolo dell’AI tra conservazione e trasformazione”. L’IA può avere un ruolo nella salvaguardia di valori e tradizioni?

“L’IA è un’invenzione straordinaria, probabilmente la più importante degli ultimi cento anni, con potenzialità enormi soprattutto in ambito medico ed economico. Grazie all’IA si può restituire la vista ai ciechi, la parola ai malati di SLA, si possono effettuare interventi chirurgici complessi, impossibili per un chirurgo umano. L’IA è anche il più grande business economico del nostro tempo, e lo sarà ancora per molti anni. Tuttavia, al momento è controllata quasi esclusivamente da privati, che mirano al profitto senza considerare gli effetti negativi. I social network, ad esempio, sono progettati per creare dipendenza, producendo sostanze chimiche come dopamina e ossitocina che danno piacere e assuefazione, come una droga. La politica dovrebbe intervenire per limitare e guidare questo fenomeno, ma purtroppo viviamo in un’epoca in cui la politica con la P maiuscola sembra essersi eclissata. “

Lei ha parlato di una “filosofia” dietro l’IA. Di cosa si tratta?

“Si tratta del transumanesimo, un movimento che mira a superare i limiti umani attraverso la tecnologia. I transumanisti si rifanno a Nietzsche e alla sua idea di superuomo, che vedono realizzato nei cyborg. Il loro obiettivo è creare un mondo divino in terra, il metaverso, dove saremo immortali, trasferendo le nostre coscienze e le nostre menti negli avatar. Non si tratta di visionari, ma di persone che investono milioni di dollari per realizzare questo progetto. Larry Page, il fondatore di Google, in un’intervista del 2019 a The Economist affermava di sapere già che non morirà. Lo stesso Elon Musk, lo scorso anno, annunciava che la sua società Neuralink aveva impiantato il primo microchip nel cervello di una persona. I transumanisti mirano a creare un nuovo tipo di umanità grazie alla bioingegneria. “

Questa visione transumanista la preoccupa?

“Come studioso, analizzo i fatti oggettivi e credo che ci sia da aver paura. La tecnocrazia si sta sostituendo alla democrazia, come dimostra l’influenza di figure come Elon Musk, che pur senza avere alcun incarico formale, siede di fatto alla Casa Bianca. La tecnocrazia sta sostituendo la democrazia “

Nel suo libro “Nietzsche l’iperboreo” lei propone una “risurrezione di Dio” come risposta a Nietzsche. Cosa intende?

“Nietzsche parlava della morte di Dio come crollo di valori e riferimenti, non si riferiva a un Dio specifico. Oggi rischiamo di deificare realtà umane come l’IA, dimenticandoci delle domande fondamentali sull’esistenza. Dobbiamo tornare a pensare in termini metafisici, riconoscendo che il divino, se esiste, è in un al di là e non può essere creato dall’uomo, come invece sostengono i transumanisti con il loro metaverso. Nietzsche voleva portare la metafisica sulla terra, e i transumanisti stanno realizzando il suo progetto. “

In che modo la riflessione teologica può contribuire a un uso responsabile dell’IA?

“La riflessione teologica e filosofica può aiutarci a mantenere uno sguardo critico sull’IA, evitando di considerarla una soluzione a tutti i problemi o una nuova divinità. Il mondo che è derivato dalla filosofia di Nietzsche è un mondo che ha visto regimi totalitari, bombe atomiche, inquinamento e sfruttamento del pianeta. Oggi, con il transumanesimo, stiamo assistendo all’apoteosi del nichilismo. Se vogliamo difendere l’umanità, dobbiamo tornare a pensare in termini metafisici. “

La maschera della morte e il nomos della vita. Intervista a Luciano Violante.

La maschera della morte e il nomos della vita. Intervista a Luciano Violante.

Siamo circondati da un’indifferenza mortale: per Luciano Violante il vero male del nostro tempo è l’incapacità di affrontare il senso profondo della vita e della morte. 

Giurista, ex presidente della Camera e della Commissione antimafia, Violante ha dato inizio alla edizione 2004 dell’Agosto degasperiano (organizzato dalla Fondazione De Gasperi e il cui tema generale quest’anno è “Amare il nostro tempo”), sabato 27 luglio, con un intervento su “La maschera della morte e la legge della vita”, che è il sottotitolo del suo ultimo saggio “Ma io ti ho sempre salvato” (Bollati Boringhieri, 2024) dove scrive: “Non ci confrontiamo sul senso della morte perché non ci confrontiamo sul senso della vita”. 

Gli abbiamo chiesto quali cambiamenti sociali o culturali crede siano necessari per ricominciare ad affrontare il senso della vita e della sua “sacralità”?

“Sento molto parlare di dignità della morte, ma non di dignità della vita. C’è qualcosa di contorto nel nostro pensiero sulla contemporaneità. Dove di fatto siamo circondati dalla morte: ci sono circa cinquanta guerre in corso. Migliaia di persone migranti che muoiono in mare, nei deserti, per raggiungere un futuro migliore. Ma tutte queste morti le consideriamo “normali”: a volte si usa lo stesso termine, sui media, tanto per definire l’abbattimento di un edificio quanto per l’omicidio di una persona. In sostanza c’è una indifferenza nei confronti della morte da analizzare con attenzione e preoccupazione”. 

In che modo, come si vince l’indifferenza? 

“Bisogna andare ai fondamentali: la vita e la morte. Non la pace e la guerra che riguardano i “grandi decisori”. Vita e morte riguardano le persone. Bisogna fare una battaglia per la vita per poter mettere fine alle guerre. Mi colpisce molto lo slogan delle donne iraniane: donna, vita, libertà. Occorre dunque occuparsi di “bio-politiche”, di politiche per la vita. Bisognerebbe mettere assieme politiche dell’infanzia, della famiglia, della salute e del lavoro. Considerandole in maniera integrata, non separatamente. Tutto il contrario di quel che accade oggi in Italia: garantire una vita dignitosa è compito di ogni governo”. 

Quali insegnamenti possiamo trarre dalla tradizione classica e biblica per recuperare il senso della dignità della vita? 

“Sono un credente senza religione: ma se la lotta tra il bene e il male fosse già decisa a favore del bene che senso avrebbe la vita? Tutto sarebbe già prestabilito e orientato al bene. In realtà così non è: più volte nei Vangeli viene citata la presenza del satàn, in ebraico “l’accusatore”. Nell’ultima cena Gesù dice ai suoi che se ne andrà, ma il male resta con voi. E il senso della vita è proprio la lotta contro il male. Se si può dire: dobbiamo dare una mano a Dio. Come lui ha chiesto nell’Alleanza: possiamo costruire qualcosa assieme. Questo è il vero senso della vita. Dovremmo rifletterci di più ed essere coerenti”

Non rischiamo con questo una polarizzazione: credersi sempre dalla parte del bene non equivale alla radice di molti mali? 

“Condivido pienamente. Ma non penso ci si debba credere sempre dalla parte del bene: dico che è in atto uno scontro tra bene e male. Il bene è tra noi come il male. Il senso della vita è questa lotta per far vincere il bene. Non che esista  un bene assoluto da seguire ciecamente: non sono un seguace di Trump!”. 

Da poco è mancata sua moglie, Giulia De Marco: di fronte alla morte delle persone care se non si ha una fede religiosa, non si crede nell’immortalità dell’anima, come si può  restare razionali ed accettare la “fine” di chi si ama? 

“Credo in un’idea laica di sacralità: ciò che non è ripetibile ed è un valore, come la vita e la morte, è sacro anche per un laico. Intangibile e non manipolabile. Vita e morte non sono ripetibili, sono uniche. Dati essenziali della vita di una persona. Di qui una laica sacralità di questi momenti. Ne consegue un profondo rispetto della vita e della morte. Di fatto nella frenesia del nostro tempo la morte “interferisce sgarbatamente”: quando sentiamo che è morto qualcuno il fatto ci distoglie dalle nostre faccende quotidiane. Più di una volta mi è capitato di vedere mancanza di rispetto nei confronti della morte. In un passato anche recente la morte era qualcosa di importante su cui soffermarsi: un fatto sociale. Un riconoscimento della persona e della sua storia, dei suoi rapporti. Adesso la morte significa, quasi sempre, solitudine. 

Come ex magistrato e politico, come ha influenzato la sua percezione della morte il suo lavoro nella lotta contro la mafia, un contesto in cui la vita e la morte sono spesso in stretta vicinanza?

“Mi è capitato, per fortuna mia e adeguatezza degli altri, di essere vivo. Nonostante i vari tentativi per fermarmi. Quando si fa un lavoro in cui si crede, non si pensa da altro. Importante che chi ti è caro sappia che può accadere”. 

Parlando di amore del nostro tempo, tema dell’ Agosto degasperiano, quale aspetto del nostro tempo ritiene più amabile e utilizzabile nella costruzione di una società più giusta e umana? 

“Il nostro è il tempo della scoperta, della ricerca e delle novità: questo è l’aspetto che amo della nostra contemporaneità. Penso allo spazio, alla ricerca in medicina, alle innovazioni digitali. Vedo però una certa propensione al conflitto che non mi piace: la tendenza poi a risolvere i conflitti con le punizioni e le aggressioni. La guerra è tornata ad essere lo strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Le diplomazie non esistono più”. 

Alcide De Gasperi è stato figura centrale nella costruzione della democrazia italiana. Quali aspetti del suo pensiero politico ritiene più rilevanti e attuali per affrontare le sfide contemporanee?

“Sono diventato  un grande ammiratore di De Gasperi, dopo averlo studiato: in una situazione di grande difficoltà in cui il Vaticano, l’ambasciata americana e altri gli chiedevano di mettere al bando comunisti, socialisti e sindacati, lui si è sempre rifiutato di attuare misure liberticide. E’ stato un vero garante dei valori costituzionali. Unico errore è stata la legge del ‘53: il maggioritario ha sottratto voti a chi li aveva guadagnati e questo nella cultura dell’epoca non era accettabile. De Gasperi però, senza piantare bandiere, ha sempre difeso la laicità della Repubblica, nello scontro con Pio XII. La cosa importante di De Gasperi è che non voleva dividere il suo Paese: aveva a cuore unità e coesione, non la vittoria del suo partito. Si competeva per governare, non per vincere”. 

(Intervista pubblicata sul quotidiano L’Adige il 27 luglio 2024 link al PDF della pagina) .