“L’uomo buono è colui che preferisce subire un’ingiustizia piuttosto che farla”. Agnes Heller ci ha lasciato questa socratica definizione in eredità assieme all’invito a pensare e costruire un mondo basato sull’etica. Il 19 luglio ricorre il primo anniversario della sua morte.
Una delle filosofe più importanti del nostro tempo, la Heller, nata nel 1929, ebrea sopravvissuta alla Shoah, ha iniziato la sua carriera da saggista come riformatrice del marxismo (pubblicando il famoso saggio “La teoria dei bisogni in Marx” del 1974) e l’ha terminata criticando l’ascesa di Orban nel suo Paese, l’Ungheria. Negli ultimi anni della sua vita, venendo in Italia, ha frequentato Francesco Comina, giornalista professionista e scrittore, consegnandogli alcune delle sue ultime riflessioni, in particolare su l’amore.
A Comina abbiamo chiesto cosa rimane di incompiuto del pensiero di Heller? Cosa bisognerebbe portare avanti della sua filosofia? “Certamente ha rappresentato un’epoca: una delle sue idee più forti lasciata in eredità è il radicamento del pensiero nella storia. Lei stessa ha costantemente mutato il suo pensiero. Non si è mai fossilizzata. Tanti suoi libri famosi se li è lasciati indietro, superandoli, come “La teoria dei bisogni di Marx”. “Rappresenta la mia memoria, ma non lo scriverei più”, mi raccontava. Quel libro l’aveva fatta conoscere in tutto il mondo, ma lei lo considerava uno dei tanti, neanche il più bello”.
Con quel libro negli anni settanta, una sopravvissuta alla Shoah, cercava di riformare il marxismo: perché l’operazione non riuscì secondo la Heller? “Perché a suo avviso si era creata una “incrostazione” ideologica: “nella furia di smontare il marxismo poi non fummo più in grado di rimontare i pezzi”, raccontava la filosofa. Dal 1977 iniziò una nuova fase di pensiero liberale, senza rinnegare Marx, ma con un passo diverso che la portò sul piano dell’etica. Tutto si giocava sulle scelte etiche: ogni persona è un frammento di un tutto ed è nella vita quotidiana che possiamo fare la nostra parte e produrre un vero cambiamento.
Lei Comina è stato molto vicino alla Heller nei suoi ultimi anni di vita: qual’era il suo pensiero ricorrente?
“La bontà: Heller si domandava se veramente esistono gli uomini buoni. Donne e uomini buoni, sono attorno a noi, ma non ne sentiamo parlare perché il più delle volte agiscono in modo silenzioso, senza fare rumore. Se è possibile, allora la bontà esiste. Per indicarla usava un concetto socratico: l’uomo buono è colui il quale preferisce subire un torto piuttosto che farlo. A questo proposito fece una proposta alle amministrazioni comunali che l’accolsero allora in Italia: ci sono tanti monumenti dedicati al “milite ignoto”. Senza nulla togliere al valore e al sacrificio di quelle anonime persone, perché però non si fanno dei monumenti anche “al buono ignoto”? Dedicati cioè a tantissime persone che anonimamente, senza mettersi in mostra, hanno fatto del bene agli altri, gratuitamente, solo perché lo ritenevano giusto?”.
“Il demone dell’amore” è il titolo del libro che lei assieme a Genny Losurdo ha pubblicato sulla base di uno degli ultimi incontri con la Heller. “E’ il frutto di cinque giornate di “ritiro” che passammo in un monastero vicino Verona. Si realizzò una sorta di circolo socratico sul tema dell’amore, tanto caro alla Heller. Abbiamo aggiunto il testo dell’ultima conferenza che fece a Francoforte su Anna Frank, sua coetanea: entrambe vissero la stessa oppressione. Emerge una riflessione sul male radicale e sul senso di colpa vissuto da coloro che sono sopravvissuti alla Shoah”. (articolo pubblicato su L’Adige il 30/06/2020)