A scuole chiuse possiamo scoprire tutti, studenti, genitori e insegnanti, quant’è importante la relazione umana, ma anche accorgerci che le conoscenze possono transitare attraverso la rete e che la didattica ingessata, a senso unico da insegnante a studente, ha bisogno di un profondo rinnovamento. E’ quanto sostiene Dario Ianes, co-fondatore del Centro Studi Erickson, che martedì pomeriggio con Sofia Cramerotti (in diretta Youtube seguita da circa 3500 persone) ha presentato l’iniziativa di una piattaforma gratuita, accessibile a tutti (tramite registrazione al sito https://www.erickson.it/it/approfondimento/dida-labs/ ).
“Dida -LABS” è una piattaforma che abbiamo creato per il supporto a studenti con bisogni educativi speciali – ci ha spiegato Dario Ianes, docente di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano – si tratta di bambini e ragazzi con disturbi dell’apprendimento o con disabilità intellettiva. Quando è scoppiata l’emergenza del virus abbiamo notato che tantissimi insegnanti hanno reso disponibili materiali per la didattica a distanza di ogni genere. Però ci è sembrato mancasse qualcosa di specifico per i ragazzi con difficoltà di apprendimento. Noi avevamo qualcosa di già pronto sulla piattaforma, creato secondo tutti i crismi di un percorso di apprendimento graduato e facilitato. Perchè non metterlo a disposizione di tutti?”
Quindi in Dida-LABS ci sono attività che possono svolgere tutti i bambini delle primarie?
“E’ nato per i DSA: molto facilitato e semplificato. Essendo un buon materiale di apprendimento, può essere utilizzato anche da un genitore che vuole cimentarsi nell’aiutare i propri bambini delle primarie a fare attività durante questo periodo di chiusura della scuola”.
Quali sono le opportunità di questo momento difficile?
“Tutti ci siamo resi conto che si può imparare in maniera sistematica non solo a scuola, con un maestro o un prof che spiega. Sapevamo della possibilità di una didattica digitale, ma finora nessuno l’ha dovuta sperimentare. In Italia esistono tante esperienze di didattica a distanza, anche molto positive: restavano esperienze di nicchia o élite. Adesso tutti sono lanciati per forza in questa dimensione, ma assistiamo a tentativi molto rudimentali: qualche insegnante fa le foto del libro e la manda a tutti gli studenti! Dovremmo prendere atto di una realtà diversa: si è rotta definitivamente l’idea che tutti gli studenti debbano prendersi la stessa minestra dall’unico docente, dentro un’aula come sul computer in remoto. Il docente può fare cose molto più creative, personalizzate, costruttive nella didattica in remoto”.
L’aspetto negativo?
“Chiaramente è la perdita di relazione. Non ci sono “persone vere” non c’è la spiegazione diretta dell’insegnante e il sostegno dei compagni. Tutti gli aspetti sociali della scuola sono essenziali e non possono essere sostituiti dalla didattica in remoto. Manca il gruppo e il “sentirsi parte di” qualcosa”.
Riassumendo e guardando al futuro: quando torneranno tutti in classe questa esperienza potrebbe cambiare la didattica?
“ Se uno studente deve acquisire solo delle conoscenze può farlo da solo, a casa, sui libri o sul computer. Se deve esercitare spirito critico e comunicare con qualcuno può certo farlo su una piattaforma di e-learning, ma per affrontare un dibattito vero ha bisogno di persone in carne ed ossa davanti. La vita reale è più complessa di ciò che viene trasmesso su digitale. Ad esempio: posso usare un ottimo simulatore di volo, ma fino a quando non proverò un aereo vero, non potrò dire di saper pilotare. La classe quindi come luogo di esperienza e relazione è insostituibile. Il digitale può certamente sopperire all’apprendimento di conoscenze. Ma per avere delle vere competenze e un vero apprendimento è necessario il contatto reale con gli altri”.
Qualche consiglio per gestire questo periodo.
Un consiglio per gli insegnanti? “Restate molto in contatto tra voi, orizzontalmente, senza comunicazioni dall’alto in basso. Tra colleghi e con gli studenti. Questo può servire per aiutarsi nelle piccole cose: da come funziona una piattaforma alla condivisione dei materiali, fino ad avviare percorsi interdisciplinari. Tenere vivi i legami, può essere un’occasione per trovare sinergie nuove, anche se non ci si incontra più nei corridoi della scuola. Suggerirei maggiore attenzione relazionale, umanamente parlando, un “come stai?” in una mail di lavoro che serva a sostenerci.
I genitori cosa possono fare per i loro figli? “Devono avere una gran pazienza e sostenerli aiutandoli anche nello studio. Se ci sono figli alle scuole primarie o medie può essere più facile. Più complicato, a meno che non si abbia una buona cultura, aiutare i ragazzi che sono alle superiori. Ottimo sarebbe poter avviare con loro delle discussioni su ciò che stanno studiando, per permettere loro di confrontarsi con qualcuno”.
Un consiglio per tutta la scuola per quando si tornerà sui banchi? La scuola è l’unica realtà che spezza in discipline il sapere”, dice Edgar Morin. Nella realtà tutto è legato: economia, cultura, politica, società o storia. Spezzettare queste conoscenze mi sembra risponda solo a delle logiche di tipo occupazionale o accademico. La scuola potrebbe fare molto di più in termini di interdisciplinarietà, cercando di affrontare problemi reali, con il contributo di tante menti, con chiavi di lettura diverse. Purtroppo sia i prof nelle scuole che quelli all’università sono abituati a pensare solo alla propria disciplina: ciò di certo non genera sinergie verso l’obiettivo di consegnare un sapere unitario ai nostri giovani.
Articolo pubblicato sul quotidiano L’Adige del 12 febbraio 2020.