Povertà ed emarginazione.

foto del sito di "Medici senza frontiere"
foto del sito di “Medici senza frontiere”

Essere solidali “conviene”, è nell’interesse di ognuno vivere in una società dove chi resta indietro, chi è povero, disabile, tossicodipendente, migrante può trovare qualcuno che lo aiuti. Perché ognuno di noi può trovarsi in condizioni di necessità e nessuno “è salvo” o immune. E la solitudine è il male dei nostri giorni. Don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, sarà a Trento il prossimo mercoledì 20 novembre (ore 21, Sala Polifunzionale Opera universitaria, Via Prati 10) a parlare di “Povertà ed esclusione sociale” in una serata organizzata dalla FUCI (Federazione universitaria cattolica italiana), assieme al vicepresidente del Gruppo Abele, Leopoldo Grosso. Don Vinicio, settanta anni da poco compiuti, oltre che da sempre impegnato nel sociale è anche docente di diritto canonico presso l’Istituto Teologico marchigiano. E’ stato da poco pubblicato il suo ultimo libro “La finestra sulla strada” (Ancora edizioni), un’autobiografia densa di riflessioni e finestre sulla nostra società. Gli abbiamo domandato quale a suo avviso sia la povertà emergente in questi ultimi anni. “La prima è quella materiale, dovuta alla crisi economica incombente, ma la seconda e più emergente è quella della solitudine. E’ diffusa a tutti i livelli, senza distinzioni sociali: i problemi, se devono essere affrontati in solitudine, diventano tragedie. Infine c’è una terza povertà: quella culturale. Riguarda tutta una fascia di popolazione che ha paura, che si lascia spaventare e sedurre da chi punta il dito verso i diversi e fa promesse di soluzioni facili. Gente che con una parola un pochino forte definirei “ottusa”: non è capace di guardare avanti, difende i piccoli territori, i privilegi. Se queste tre povertà si sommano, è la fine: pochi strumenti, pochi amici, propensione allo stigma e la povertà diventa totale”. Ci sono degli antidoti a questa “miseria” dilagante? “La solidarietà: concetto che non va inscritto alla generosità e alla larghezza del cuore, ma rientra nell’ambito dell’interesse. La parola non deve impressionare: siamo in una condizione in cui nessuno può sentirsi sicuro. Una malattia, un incidente, un qualsiasi elemento può metterci in condizione di necessità. Il clima generale odierno non facilita nemmeno tale idea d’interesse. Le persone tendono a chiudersi nel proprio ambito senza capire che la solitudine è un ulteriore male. Il nostro sforzo deve essere verso una società aperta, che affronti realisticamente i problemi. Non solo la situazione dei migranti, dei poveri, dei disabili, ma anche quella degli adolescenti e degli anziani non viene seriamente affrontata e si procede sull’onda dell’emotività”.

 Che cosa significa giustizia per don Albanesi: quale parabola evangelica la rappresenta meglio? “Prendersi cura: soprattutto dell’oppresso, del debole. Il concetto che Dio stesso associa a giustizia è la misericordia. La parabola migliore: il figliol prodigo, guardando soprattutto all’atteggiamento del padre che rispetta la libertà del figlio e si prende cura di lui e quando lo salva, è felice”.

 Papa Francesco ha detto che vorrebbe una “Chiesa povera per i poveri”: come va realizzato questo intento? “Il problema è che pur pregando e celebrando le liturgie la fede scarseggia. C’è una doppia anima attualmente, quella “bianca” che dice lode al Signore per i doni ricevuti e una “nera” che si domanda quanti interessi produce un certo conto in banca. C’è un rapporto diretto tra fede ed essenzialità: dobbiamo avere la possibilità di vivere dignitosamente, ma allo stesso tempo è necessario allargare i nostri orizzonti e guardare a chi ha realmente bisogno, non chiudendosi nella solitudine”.

Come interpreta il “beati i poveri” delle beatitudini evangeliche? ”Semplicemente il Signore dice ai poveri che non si dimenticherà di loro, non lascerà da soli gli orfani, gli stranieri. Perché se Dio che ha creato ogni cosa per amore significa che nulla sarà abbandonato”.

Quali sono le esperienze, nella sua biografia, fonti di maggiori soddisfazioni? “I miracoli compiuti, ma non quelli straordinari: quando un ragazzo tossico viene da te, lo inserisci in una comunità e infine lo vedi star bene e celebri il suo matrimonio, battezzi i suoi figli, è un piccolo miracolo, che non dipende da me, ma che riempie il cuore. Era una persona perduta, ed è stata ritrovata. Oppure vedere un disabile sposarsi e avere dei figli: sono gioie e soddisfazioni grandissime, umanamente parlando”.

(pubblicato su “L’Adige” del 19 novembre 2013) http://www.ladige.it/

Il sogno di Dio.

Alex Zanotelli
Alex Zanotelli

Il sogno è uscire dalla schiavitù della richezza, tornare ad ammirare la creazione come “prima parola di Dio”: per realizzarlo occorre un nuovo Esodo, verso la liberazione. Ne parla padre Alex Zanotelli nel suo ultimo libro in uscita nei prossimi giorni, intitolato “Il gran sogno di Dio” (Dissensi edizioni). Padre Alex non fa mai presentazioni ufficiali dei suoi testi, preferisce siano le idee a parlare, rifuggendo dal personalismo. Ha però accettato di parlare, dal Rione Sanità a Napoli, dove sta accanto agli ultimi,  delle novità e delle speranze che il nuovo pontefice sta proponendo.

Papa Francesco ha detto di volere una “chiesa povera per i poveri”, a parole sta dando grandi prospettive di cambiamento e di avvicinamento della Chiesa Cattolica alla gente, agli ultimi, agli emerginati e ai migranti: ma fino ad ora nella non sembra essere cambiato granché di concreto. Cosa, per Alex Zanotelli, dovrebbe essere messo in pratica?

“Occorre innaizitutto preciasare che Bergoglio  è anche lui un “convertito”, come Oscar Romero: inizialmente era conservatore. Poi venne ucciso perché difendeva la povera gente: ha modificato le sue idee con il tempo. Credo sia stata soprattutto l’esperienza dei bairros, a Buenos Aires, a fargli cambiare prospettiva. Ha spostato la sua maniera di guardare alla realtà e alla Chiesa”.

Alle parole seguano i fatti: come? “La predicazione di Francesco è molto bella, ha guadagnato la simpatia del mondo, con la sua semplicità. Finora però tutte le sue dichiarazioni sono rimaste dei “proclami”. Non abbiamo visto passaggi concreti: devono arrivare, anche se con grandi difficoltà viste le resistenze interne alla Chiesa. Si potrebbe indire un Concilio, o un Sinodo innanzitutto per ascoltare la Chiesa: in vista di riforme. Dobbiamo arrivare a rivedere le strutture ecclesiali. In questi secoli la Chiesa, oltre ad avere un grande potere temporale, ne ha avuto uno economico non indifferente. Occorre uscire da questi schemi centenari: può avvenire attraverso una riforma radicale”.

Può farci degli esempi: quale potrebbe essere la prima riforma? “La Chiesa non utilizzi la finanza come modalità per fare denaro: la comunità ecclesiale deve dare l’esempio di come utilizzare i soldi. In occasione della visita di Francesco ad Assisi gli ho rivolto questo appello: trasformiamo lo Ior (Istituto per le opere di religione, ndr) in una “banca etica”. Sarebbe un passaggio straordinario e darebbe un esempio incredibile! Una volta trasformata la banca della Chiesa, anche se in assoluto non dovrebbe esistere, ma  almeno sia “etica”, allora anche il Papa potrà spingere perché tutti gli istituti e ordini religiosi si domandino come utilizzano i loro soldi, in che banche li tengono, se questi istituti bancari applicano o meno dei criteri di giustizia ed equità. Un ripensamento globale del sistema finanziario che è in capo alla Chiesa deve essere il primo passo verso una Chiesa più povera”.

Rispetto all’organizzazione interna, alla gerarchia ecclesiastica, che interventi vedrebbe? “E’ il secondo aspetto:  la Chiesa deve rivedere la sua struttura interna, puntando alla semplificazione.  Ci si deve domandare se si fa veramente il bene dell’ecumene, del miliardo di cattolici sparsi in tutto il mondo. Abbiamo a che fare con dispendi di tutti i tipi, soprattutto di denaro: una semplificazione e quindi una riduzione dei costi è un esempio necessario da dare al mondo”.

Significa anche attenzione agli “stili di vita”? “Il papa ha già iniziato in questo senso a dire al suo clero d’essere d’esempio: ma ora deve diventare tassativo! Basta macchine lussuose o abiti di lusso”.

Ci sono delle riforme per cui sarebbe necessario un nuovo Concilio? “Rivedere il ruolo e la funzione del Vaticano: il Papa deve tornare ad essere il Vescovo di Roma. Segno dell’unità, di coordinamento e riferimento dei cattolici: ma per fare questo non è più necessario uno “Stato Vaticano”. Al momento dei patti lateranensi aveva un senso parlare di Stato, per garantire indipendenza al Papa. Ma oggi si possono trovare altre forme giuridiche. Guardiamo l’ONU: è un’organizzazione riconosciuta a livello mondiale, senza avere la condizione di nazione. Così anche il Vaticano: si libererebbe il papato da una ruolo, quello di capo di Stato, che non gli si addice e che gli impone di rendere omaggio a capi di stato, anche si trattasse di violenti dittatori”.

Dal basso, nelle parrocchie, anche in Trentino, cosa concretamente si può fare per adeguarsi a questo nuovo corso del Papa? “Conosco bene l’ambiente trentino: di questi tempi ci sono preti che devono gestire sei, anche sette parrocchie. Non vedo nascere dal basso delle “realtà di base”: se in ogni paesino ci fossero dei laici, anche tre quattro persone, che leggono il Vangelo, magari aiutati a volte dai preti, che prendano in mano , lentamente, la comunità cristiana. Se non nasce questo dal basso la crisi sarà imminente perché la mancanza di vocazioni ormai è cronica. Continuo a dirlo a Trento: rischiamo di trovarci senza preti, ma anche senza laici pronti a prendere in mano le comunità cristiane. Dovrebbe poi nascere un comitato in ogni parrocchia che si occupi di gestire i soldi, discuta su come  impegnarli, se tenerli in una banca e con quali criteri etici. Coinvolgere la gente in queste scelte: se continueranno a fare tutto i preti la gente non capirà nulla di queste realtà e della giustizia da mettere in pratica”.

 

(Intervista pubblicata su L’Adige del 18 novembre 2013).