L’obbedienza…. «Dev’essere un atto di obbedienza a Dio: solo questa fonda qualunque altro tipo di obbedienza. È a Dio che noi obbediamo e lui solo può comandare alle nostre coscienze. La libertà di coscienza è un’idea cardinale. Fondamentalissima del cristianesimo, perché suppone la persona, la sua immortalità, suppone quindi un rendiconto che si ha solo nei confronti di Dio; e suppone perciò l’irriducibilità di qualunque forma che possa costringere questa suprema libertà della persone e particolarmente del cristiano che deve rendere conto soltanto innanzi al suo Dio». Con queste parole in «Catechesi sulla Piccola Regola» Giuseppe Dossetti sottolineava un principio quasi «assoluto», secondo forse solo all’amore, memore del fascismo e del suo «credere, obbedire, combattere», ma anche di una Chiesa che ancora non si sollevava da una pesante struttura gerarchica per diventare «popolo di Dio» nonostante il Concilio Vaticano II e le sue aperture. Dossetti fu uomo politico, monaco, sacerdote e giurista, partecipò alla Resistenza con il nome di Benigno, elaborò la prima bozza della Costituzione, candidò alle elezioni del ‘48 per esplicito invito del futuro Papa Paolo VI. Nella Democrazia Cristiana le sue posizioni furono profondamente radicate nel Vangelo, a volte divergenti rispetto a quelle di Alcide De Gasperi: Dossetti avrebbe preferito che l’Italia non entrasse nella Nato, e svolgesse un ruolo, data anche la presenza del Vaticano, di Stato «dialogante» e neutrale. Uscì dalla politica nel ’51 per una testimonianza evangelica monastica che si diffuse fino in Palestina.
Ricorre il centenario della nascita di Dossetti, il 13 febbraio, e per celebrarlo la rivista «Il Margine» ha organizzato una serata a lui dedicata con l’introduzione di Francesco Ghia e gli interventi di Piergiorgio Cattani, Claudio Fontanari e Silvano Zucal. Quest’ultimo, docente di filosofia teoretica a Trento, l’ha conosciuto direttamente e frequentato. Gli abbiamo chiesto un ricordo di Dossetti: «A Trento lo incontrai solo una volta: venne per deporre nella causa di beatificazione di Alcide De Gasperi» racconta Zucal. «La vera frequentazione di Dossetti per me fu alla fine degli anni settanta, quando ero a Bologna. Andavo alle sue celebrazioni. Che duravano anche due o tre ore: ma non ci si annoiavdi certo. Pure essendo stato un protagonista delConcilio Vaticano II era molto perplesso sul rapporto tra Antico Testamento e Vangelo. Si era preso l’Antico per renderlo funzionale al Nuovo: la sua visione invece era di un profondo rispetto dell’ebraismo. Contestualizzava il “primo” testamento nel suo ambiente proprio: l’ebraismo».
Dal punto di vista umano cosa le ha lasciato Dossetti? «Credo sia stato l’unico vero genio che abbia mai incontrato. Il suo dramma interiore è stato di dover domare questa sua genialità. Nei contesti politici più complessi in trenta secondi era capace di comprendere cosa stesse accadendo».
Come vede il suo ritiro dalla politica? «Tanti lo interpretano solo in chiave di fallimento della sua prospettiva, in quel momento. Credo invece ci sia stata una consapevolezza di una terrificante tentazione. Poteva essere un leader, magnetico. Questa dimensione imperativa, leaderistica, sarebbe andata contro la sua tensione di svuotamento interiore di tipo spirituale».
Protagonista del Concilio, rimasero in lui delle perplessità sul modo in cui venne tradotto in pratica? «Fece degli incontri proprio sul Vaticano secondo, a cui partecipai: i punti su cui spingeva erano la necessità di valorizzare il laicato, la valorizzazione delle donne. Poi il grande tema del riconoscimento delle tradizioni religiose diverse dal cristianesimo. l’Islam, e non solo l’ebraismo. L’induismo, i monasteri ortodossi, sul Monte Atos. Aveva una grande apertura: l’ecumenismo era un dono per lui. Non si trattava solo di convivenza, nella tradizione indiana parla lo Spirito, per Dossetti. Il punto nodale, data anche la sua formazione, era ancora la struttura della Chiesa. Possiamo definirlo l’Antonio Rosmini del ‘900. Il popolo di Dio è maturo, vero, o solo un modo di dire, una santa enunciazione?».
Qual è un argomento su cui avete riflettuto faccia a faccia? «Quello della morte. Mi confessò la sua giovanile paura della morte che scomparve col tempo “facendosi mangiare dall’eucarestia”. Significava liberarsi dall’attaccamento terreno e diceva: “L’eucarestia uccide chi vi partecipa: ci aiuta a morire d’amore per eternalizzarci in una vita d’amore. Un mangiare che è farsi mangiare”».
Nell’attuale campagna elettorale si sentono spesso i politici trentini pronunciare il nome di De Gasperi. Pensando al rapporto che ebbe con Dossetti, cosa vorrebbe dire loro? «Prima di ispirarsi a queste figure, sarebbe il caso di praticarne gli stili di vita. Se anche i due erano divisi su alcune visioni politiche, furono certamente accomunati da rigore spirituale e poi morale. Allora la politica richiedeva formazione, non improvvisazione. Lascerei queste figure come riferimenti per la formazione: i politici che sono in campo oggi, se li leggano di notte, ma non ne parlino mai di giorno. Non li usino per le loro campagne elettorali. Ogni parola sarebbe un tradimento per figure così nobili della nostra storia che non possono essere messe nel mercato della banalità politica attuale».
Articolo pubblicato su L’Adige del 11 febbraio 2013 con il titolo “I politici leggano Dossetti”.